È un’idea che balena spesso nella testa di governanti ed economisti, utilizzare le riserve auree dei Paesi per risolvere o almeno alleviare alcuni problemi in periodi di crisi.
È una suggestione che circola anche in Italia, e tra i vari motivi ve ne è uno preciso. L’Italia infatti risulta essere tra gli Stati con la quantità maggiore di riserve di metallo prezioso al mondo.
Gli ultimi dati disponibili ci dicono che nelle disponibilità della Banca d’Italia vi sono 2.451,80 tonnellate di oro. Solo Stati Uniti e Germania ci superano.
Mentre noi sopravanziamo di poco la Francia e la Cina.
Non solo. Quelle in lingotti d’oro rappresentano la maggioranza assoluta di tutte le riserve valutarie possedute, il 66%.
E al mondo siamo settimi quanto a incidenza dell’oro sulle riserve totali, dopo USA, Grecia, Portogallo Tajikistan, Germania, Venezuela.
Ma dove sono precisamente queste riserve?
Riserve auree, meno di metà sono fisicamente nella Banca d’Italia
Si potrebbe pensare che l’oro italiano sia nei caveau della sede centrale della Banca d’Italia a Palazzo Koch. Ma non è così. Nella “Sagrestia Oro” del palazzo ci sarebbe solo il 48% di tutte le riserve, ovvero 1.195 tonnellate.
Il resto sarebbe fisicamente all’estero. Ovvero presso la Banca per i Regolamenti Internazionali, la Bank of England e la Federal Reserve.
In particolare nella Federal Reserve, dove si dice vi siano addirittura 1200 tonnellate di oro. Mentre solo le briciole, poche decine di tonnellate, sarebbero altrove.
Del resto queste riserve si sono formate negli anni ’50 e ’60, periodo di boom economico e poi di inflazione. Quando erano in vigore gli accordi di Bretton Woods, che contemplavano la convertibilità del dollaro in oro, e i Paesi europei, in particolare Italia, Francia, Germania, trovandosi con molte riserve in dollari, ne chiedevano agli USA la conversione in oro.
Questo fino alla fine del sistema di Bretton Woods nel 1971. Tuttavia l’oro consegnato dagli americani è rimasto lì nei depositi della Federal Reserve, e non è mai arrivato in Italia
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