Un tribunale lituano ha condannato l’ex ministro della Difesa dell’Unione Sovietica, Dmitry Yazov, a 10 anni di carcere. Siamo di fronte ad una sentenza relativa al passato, che si innesta su uno scontro politico presente.
L’uomo è accusato di crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Yazov si sarebbe macchiato di queste colpe in relazione alla repressione brutale nei confronti del movimento indipendentista lituano.
Yazov fu protagonista ai tempi anche di altre azioni repressive. Ad esempio, il Massacro di Gennaio nei confronti del movimento indipendentista dell’Azerbaigian.
Lituania, indipendente dal 1990
Il Paese con capitale Vilnius fu il primo a muoversi in senso autonomista contro la decadente architettura istituzionale dell’URSS. Quindi, dichiarò la propria indipendenza nel marzo 1990.
I fatti contestati si riferiscono però al 1991, quando truppe sovietiche, guidate da Yazov ai tempi Ministro della Difesa, ripresero il controllo dell’edificio che ospitava gli studi della tv nazionale. Quattordici persone morirono negli avvenimenti. Si registrarono anche 600 feriti.
Yazov, 94 anni, era la figura di maggiore spicco tra le decine di ufficiali sovietici sotto processo. Tutte e 67 le persone incriminate sono state condannate per periodi che vanno dai 4 ai 14 anni.
Una sentenza sul passato che parla al presente
La questione assume un significato di polemica politica anche oggi. La Lituania, insieme agli altri paesi baltici di Lettonia e Estonia, è da sempre attiva nel denunciare il rischio portato dall’aggressività della Russia di Putin.
In particolare dopo gli ultimi anni di avvenimenti in Ucraina, Mosca è vista come potenza sempre più revisionista. Ovvero, volenterosa di riguadagnare il controllo delle ex province sovietiche. Queste furono perse in seguito alla caduta del Muro, che innescò i fatti che condussero fino alla dissoluzione sovietica del Dicembre 1991. La condanna a Yazov sembra voler essere anche una presa di posizione rispetto all’attualità.
Le reazioni politiche alla sentenza contro Yazov
Per la presidente del paese Dalia Grybauskaite la sentenza contro Yazov e gli altri ufficiali è un fatto positivo. Ovvero, poiché individua i nomi di chi minacciò uomini e donne che “espressero pacificamente la propria libertà”.
La Russia non ha accettato in alcun modo di collaborare al processo, ritenuto illegale e in violazione dei principi fondamentali di giustizia. Lo stesso presidente russo dell’epoca, Mikhail Gorbaciov, ha rifiutato di testimoniare.
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