Per la regia di Alessandro Cassigoli e Casey Kauffman, Butterfly è un film documentario in uscita il 4 aprile, distribuito da Istituto Luce Cinecittà. La trama, della durata di 80 minuti, segue la storia della giovane Irma Testa. Si tratta di una campionessa di boxe diciottenne cresciuta nel napoletano e che si ritrova, a un certo punto, in bilico tra la sua vita privata e quella professionale.
Butterfly è un film documentario particolare, che vira spesso sul drammatico, con una narrazione veritiera – la storia di Irma, con successi e delusioni personali – impostata come fatto di fiction. Si forma un mosaico di scene “reali” e scene scritte appositamente per il film che sono separate da un confine sfocato e spesso indistinguibile.
La personalità della protagonista di Butterfly non affiora soltanto attraverso la narrazione e la rappresentazione sul ring, match dopo match, bensì anche – e soprattutto – attraverso un’ottima operazione d’introspezione: gli incontri con i familiari, le uscite con le amiche, le riflessioni a voce alta e via discorrendo.
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Butterfly: trama e curiosità
Irma Testa, cresciuta a Torre Annunziata, mette in secondo piano la sua gioventù (amici e famiglia) per dedicarsi alla grande passione della boxe. Maggiori sono i riconoscimenti che ottiene sul ring, però, maggiore è la fragilità che va scoprendo dentro di se. Vale davvero la pena rinunciare a tutto questo, alla sua vita, per raggiungere certi obiettivi sportivi? Il maestro (di boxe e di vita) Lucio sa, sin da quando Irma si qualifica alle Olimpiadi, che la vita della ragazza non sarà più la stessa: crescenti pressioni e aspettative, media incessantemente addosso, Irma è la prima pugile italiana a qualificarsi per le Olimpiadi. L’immagine della ragazza del “ghetto” che vince le Olimpiadi è troppo bella per essere vera e, infatti, Irma torna in Italia senza nessuna medaglia. Adesso, lontana dai riflettori e con le certezze crollate, Irma può finalmente guardarsi dentro per capire quale strada imboccare. Con Butterfly, Cassigoli e Kauffman tornano alla regia dopo il lungometraggio The Things We Keep. I due mostrano ancora un approccio ibrido – intrattenimento-finzione/riflessione-realtà – che risulta molto credibile e incisivo, mai pesante, né troppo documentaristico.
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