Capitalismo relazionale, oligarchie ed opacità economica
Ad indurre a questo scritto, una ricerca compiuta da Paolo Santella (Banca d’Italia), Carlo Drago (Dipartimento di matematica e statistica dell’Università di Napoli) e Andrea Polo (Università di Oxford) pubblicata nel Febbraio 2009 che prende in esame le società quotate i cui amministratori costituiscono una rete di fatto unica.
I recenti mutamenti nei consigli di Gestione e di Amministrazione di Mediobanca, Assicurazioni Generali e Intesa San Paolo sono una buona circostanza per occuparsi, sinteticamente, del tema del “capitalismo relazionale e familistico”. Per capitalismo relazionale si intende, all’incirca, quel capitalismo nel quale i Direttori (così definiti nella ricerca) vale a dire Presidenti, Amministratori Delegati, Consiglieri di Amministrazione piuttosto che i manager di più alto livello, sono legati da relazioni e legami di vario tipo sì da costituire una rete di fatto che si caratterizza per l’autoreferenzialità, l’impermeabilità rispetto ad ingressi esterni se non come cooptazione. Si può pensare, grossolanamente, che si tratti di una oligarchia che risponde a se stessa ed a pochi poteri esterni nella quale gli oligarchi costituiscono un unico blocco.
[ad]E’ un fenomeno tipico di un paese nel quale la democrazia economica del liberismo, le regole a tutela dei piccoli azionisti sono assolutamente insufficienti. Questo è il paese nel quale Enrico Cuccia per lunghissimi anni gran patron di Mediobanca, soleva dire “le azioni si pesano e non si contano” a significare che contava CHI possedesse azioni di Società e non quante azioni questi avesse. Ed un po’, ad opinione di chi scrive, Cuccia ha aiutato a conservare i patrimoni di capitalisti senza capitale, che controllavano immense imprese possedendone quote basse e detenute attraverso file infinite di veicoli societari, le scatole cinesi, per investire poco del loro personale capitale.
Del tema a livello generale, se ne sono occupati tre studiosi Paolo Santella (Banca d’Italia), Carlo Drago (Dipartimento di matematica e statistica dell’Università di Napoli) e Andrea Polo (Università di Oxford) che nel febbraio 2009 hanno pubblicato una ricerca dal titolo The Italian Chamber of Lords Sits on Listed Company Boards: An Empirical Analysis of Italian Listed Company Boards from 1998 to 2006 (La Camera dei Lord Italiana:una analisi empirica dei boards delle società quotate italiane dal 1998 al 2006) (NdA nella pagina cliccare su dowload in alto per scaricarla integralmente).
In esso, con metodologie matematico-statistiche, si verifica (da pag. 13) quanti e quali amministratori e manager si sono insediati nei consigli di amministrazione delle società quotate italiane, con quale frequenza, quanti incarichi ricoprono, con quale frequenza passano da un ruolo ad un altro, quanti di essi occupano da uno ad oltre 3 incarichi in società diverse e magari concorrenti tra di loro. Vengono anche costruite tabelle e grafici che ben visualizzano i risultati emersi dalla ricerca. A rendere ulteriormente caratterizzata la situazione è il familismo. Molte delle imprese quotate hanno famiglie come principali azionisti i cui componenti siedono nei board delle loro società ed in molte altre a rendere ancora più complessa ed intricata la rete di relazioni. Non sfuggono all’indagini le relazioni non fra amministratori ma tra aziende.
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