L’Iran, tra sanzioni occidentali e apertura al dialogo
Di fronte alle pesanti sanzioni (che danneggiano anche le nostre imprese italiane), l’Iran non cede alle provocazioni ma attende la fine di Trump.
Durante il convegno “L’Iran: a 40 anni dalla Rivoluzione, un bilancio politico e sociale” tenutosi a Bologna martedì 16 aprile 2019 si è parlato di storia e di conflitti, ma anche della risposta iraniana di fronte alle crescenti pressioni imposte dalla politica estera del presidente statunitense Donald Trump.
Lo scorso anno gli USA hanno deciso di uscire unilateralmente dall’accordo sul nucleare, con la scusa che sarebbe durato troppo poco. Forse però un tempo sufficiente per un pacifico cambiamento generazionale – considerando che metà della popolazione iraniana ha meno di 30 anni – all’interno di un clima di dialogo più favorevole. L’Iran, dal canto suo, è rimasto fedele a quell’accordo che impedisce la produzione di energia atomica per scopi militari; ciò è stato certificato ripetutamente da ispettori non certo compiacenti. Due giornalisti che hanno lavorato in Iran per l’ANSA, Alberto Zanconato e Luciana Borsatti, con Alberto Bradanini, ambasciatore d’Italia a Pechino sino al 2015 e prima a Teheran, dal 2008 al 2012, ci hanno aiutato a comprendere le ragioni iraniane.
L’ambasciatore Bradanini: “L’Iran smentisce tutti gli stereotipi”
Secondo il diplomatico, l’Iran è “un paese affascinante, con una cultura straordinaria e un’ospitalità incredibile. Smentisce tutti gli stereotipi, nel bene e nel male, a differenza invece di città americane come New York che sono proprio come nell’immaginario comune, con i grattacieli”. Il tasso di disoccupazione dell’Iran non è molto diverso da quello italiano (totale 12% contro l’11% dell’Italia – tasso di disoccupazione giovanile del 28% mentre noi siamo al 32%) e il PIL pro capite a parità di potere d’acquisto è analogo a quello di nazioni come l’Argentina (circa 20.000$ nel 2017). Riportando anche un aneddoto, Bradanini può confermare che il popolo persiano va controcorrente e, a piccoli passi, riesce sempre a raggiungere ciò che vuole.
Iran, le sanzioni favoriscono lo status quo e danneggiano l’Italia. L’Europa? “Una nullità politica”
Sull’Iran al momento gravano pesanti sanzioni imposte da Donald Trump. Ma, a detta di Bradanini, “gli Stati Uniti non vogliono un cambiamento: l’Iran è stato costruito come nemico assoluto ed è bene che rimanga tale, perché ciò che sta cuore agli USA è Israele, il quale non è un tema di politica estera, ma di politica interna. La priorità per Israele è la Palestina: per questo teme la pace tra USA e Iran”. Su questo tema gli fa eco Alberto Zanconato, autore del recente “Khomeini, il rivoluzionario di Dio” (Castelvecchi, 2019), prima biografia italiana dell’Ayatollah iraniano, forte dell’esperienza di 13 anni trascorsi in Iran: “L’isolamento imposto dall’amministrazione Trump favorisce lo status quo e la presa del potere da parte di elementi conservatori/fondamentalisti che non vogliono che l’Iran cambi”.
Come spiega la giornalista Luciana Borsatti, le sanzioni tra l’altro danneggiano l’economia europea, e in particolare le piccole e medie imprese italiane, perché colpiscono soprattutto gli scambi finanziari tra l’Iran e i suoi partner commerciali del Vecchio Continente. Alcuni Stati europei hanno studiato alternative, ma al momento solo gli aiuti umanitari sono riusciti a essere esentati da tali sanzioni. “L’Europa non è un progetto politico, ma una finzione. È una nullità politica governata da oligarchie finanziarie e industriali del Nord Europa legate agli interessi americani. Non possiamo aspettare che l’Europa diventi un soggetto politico”, dichiara senza mezzi termini l’ambasciatore Bradanini. La debolezza europea sarebbe evidente anche nello scenario libico, nel quale – a onor del vero – “siamo in guerra con altri paesi dell’Unione Europea”, esplicita Zanconato.
Luciana Borsatti: “Iran non cede alle provocazioni ma attende la fine di Trump”
Proprio a causa dei ritardi europei sono in crescita i malcontenti dalle frange più radicali del popolo iraniano. Nel frattempo l’Iran del presidente moderato Hassan Rouhani e del ministro degli esteri Mohammad Javad Zarif tollera le proteste interne e preferisce agire con tutti i mezzi della diplomazia; risponde con pragmatismo e si mostra indifferente alle provocazioni statunitensi. L’ultima è quella delle sanzioni verso chi ha relazioni con i pasdaran, il Corpo delle guardie della rivoluzione islamica, organo militare considerato “terroristico” da Donald Trump. Il quale accusa di essere lo sponsor principale del terrorismo mondiale, che a suo dire sarebbero Hezbollah e Hamas. “In Europa però abbiamo avuto il terrorismo ISIS; si è visto su quale fronte si è collocato l’Iran per combattere l’ISIS”, precisa Luciana Borsatti.
Oltre al fatto che “tutti i pasdaran sono già ampiamente sanzionati, ora diventa quasi impossibile avere rapporti commerciali con l’Iran perché i pasdaran sono in tutto il tessuto economico”, controllando quasi la metà del PIL. Si tratta insomma di un “ulteriore attacco all’economia europea”, criticato duramente persino dai più strenui oppositori dell’attuale regime politico iraniano. L’Iran, nel suo complesso, “sta tenendo duro per non perdere il controllo della situazione nella speranza di usa sostituzione di Trump nel 2020”, riconosce Luciana Borsatti.
Che invita i colleghi giornalisti ad un “riequilibrio informativo” sul Medio Oriente: “Tante volte abbiamo sentito dire la voce americana contro l’Iran, accusato di ingerenza nei paesi confinanti. Quasi mai abbiamo sentito la risposta iraniana”. Eppure la deontologia imporrebbe di ascoltare e di riportare, senza pregiudizi, entrambe le campane. A ben vedere, l’Iran sarebbe mosso sia da un istinto di sopravvivenza – di fronte a 45 basi nemiche che lo circondano – sia dalla volontà di un riconoscimento del proprio ruolo nella regione, come ha spiegato in uno studio Annalisa Perteghella dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI).
Il dialogo, via per il cambiamento
Se gli Stati Uniti d’America avessero davvero interesse a cambiare il regime iraniano, dovrebbero aprirsi “a maggiori relazioni scientifiche, commerciali, culturali”, sostiene l’ambasciatore Bradanini. L’Occidente continua ad applicare il cosiddetto “doppio standard, stigmatizzando dittatori nemici ma avallando i dittatori amici”; eppure molti esempi hanno dimostrato che i tentativi di rovesciare regimi autocratici spesso generano una situazione peggiore di quella precedente. Il diplomatico ne è convinto: “I dittatori vanno aiutati ad essere un giorno meno dittatori, aprendoli al dialogo economico e sociale. Mi auguro che le posizioni oltranziste americane non vengano digerite”.
Anche Zanconato vede nella cooperazione scientifica “una delle chiavi per lo sviluppo”, considerando che l’Iran ha 1 milione di laureati in più rispetto all’Italia; in seguito, dal campo della ricerca si può passare alla cooperazione economica. Il giornalista puntualizza: “La stragrande maggioranza degli iraniani anche contrari all’attuale regime non vuole un’altra rivoluzione violenta, ma un cambiamento graduale”. Bradanini concorda: “Chi desidera un cambiamento anche dell’Iran, l’unica strada è quella del dialogo, che assicura una buona prospettiva di successo”; quando si parla di dialogo, ogni sua forma è da considerarsi benvenuta, compresa quella che porta all’incontro tra fedi religiose differenti, “perché anche le gerarchie religiose sono attori politici che entrano nel gioco dell’evoluzione di un paese in maniera diretta”.
Il vero timore? La fine di ogni prospettiva di società futura
A maggior ragione questo vale per l’Iran. “Proprio perché siamo in una teocrazia, molti iraniani si sono allontanati dalla religione”, appunta Luciana Borsatti. Il conflitto non è tra fedi differenti ma semmai – precisa Zanconato – “tra un mondo mediorientale, ancora infuso di valori tradizionali, e un mondo occidentale in cui i valori religiosi si sono dissolti e dove impera religione dell’individualismo, sulla quale non si può costruire una società”. Per questo il clero iraniano sciita teme il nichilismo molto più rispetto alle tradizioni religiose: “Negli innumerevoli discorsi che ho dovuto seguire, non ho mai sentito Khamenei attaccare l’Occidente per motivi religiosi”, garantisce il giornalista. Il problema che non è quindi il cristianesimo, bensì “la fine di ogni religione o ideologia che sia in grado di dare fondamenta per il futuro della società. L’Occidente è investito da questo caos”.
Infatti, così com’è confusa la situazione dei conflitti mediorientali, altrettanto caotico è lo sguardo europeo e nordamericano, che fatica a immaginarsi e a impegnarsi per un secolo migliore dei precedenti. “Da parte occidentale non c’è alcuna prospettiva di società futura, più giusta. Solo la Cina – regime autocratico che genera benessere ed è in grado di distribuirlo – ha tale visione, e per questo sfida gli USA”, conclude l’ambasciatore Bradanini.
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