Decreto legittima difesa 2019 promulgato da Mattarella, le incongruenze
Il Capo dello Stato firma il provvedimento sulla legittima difesa voluto dalla Lega ma in una lettera alle Camere ne sottolinea i limiti
A pochi giorni dal termine ultimo concesso dalla Costituzione al Quirinale, il Presidente della Repubblica ha promulgato la legge sulla legittima difesa approvata in via definitiva lo scorso 28 marzo.
Contestualmente alla firma del decreto convertito dal Parlamento, Sergio Mattarella ha inviato un messaggio ai presidenti di Camera e Senato, e al capo del governo Giuseppe Conte, in cui ha messo nero su bianco alcune incongruenze presenti nella legge.
Decreto legittima difesa: le osservazioni del Quirinale
La prima precisazione mossa dal presidente della Repubblica riguarda i limiti imposti dalla Costituzione. Il fondamento della legittima difesa, scrive Mattarella, è l’esistenza di “una condizione di necessità“.
“L’art.2 della legge – continua il Capo dello Stato – modificando l’art.55 del codice penale, attribuisce rilievo decisivo “allo stato di grave turbamento derivante dalla situazione di pericolo in atto”: è evidente che la nuova normativa presuppone, in senso conforme alla Costituzione, una portata obiettiva del grave turbamento e che questo sia effettivamente determinato dalla concreta situazione in cui si manifesta”.
Infine, il Presidente della Repubblica segnala due incongruenze.
“Devo rilevare – scrive Mattarella – che l’articolo 8 della legge stabilisce che, nei procedimenti penali nei quali venga loro riconosciuta la legittima difesa “domiciliare”, le spese del giudizio per le persone interessate siano poste a carico dello Stato, mentre analoga previsione non è contemplata per le ipotesi di legittima difesa in luoghi diversi dal domicilio.
L’altra osservazione riguarda invece la possibilità per il reo di ottenere la sospensione condizionale della pena in cambio del risarcimento del danno. Una concessione prevista per il reato di furto in appartamento o per furto con strappo ma non per la rapina. Un discrimine che, fa notare Mattarella, non è supportato dalla giurisprudenza.
“Un trattamento differenziato tra i due reati non è ragionevole poiché – come indicato dalla Corte costituzionale, nella sentenza n. 125 del 2016 – “gli indici di pericolosità che possono ravvisarsi nel furto con strappo si rinvengono, incrementati, anche nella rapina”».
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