Massimo Ciancimino ricoverato per ictus, processo Stato-Mafia al via

Il processo d’appello si apre con un giallo sulla salute di Massimo Ciancimino. Per il suo legale non sarebbe pienamente cosciente. Il carcere: “È lucido”

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Massimo Ciancimino ricoverato per ictus, processo Stato-Mafia al via

Il processo Stato-Mafia si riapre con un giallo sulle condizioni di salute di Massimo Ciancimino.

Durante la prima udienza del processo di secondo grado, l’avvocato del supertestimone ha annunciato alla Corte d’assise d’appello di Palermo che il suo assistito non sarebbe in grado di presenziare al processo.

Il 16 marzo scorso è stato colpito da ictus. Ha perduto più volte l’orientamento e ha avuto problemi gravi all’eloquio e ha una paresi parziale al lato sinistro“, ha comunicato il legale Roberto D’Agostino. E ha aggiunto: “Non riesce a rendersi conto della situazione processuale che lo riguarda“.

A sostenere il contrario, però, è un certificato medico del carcere di Regina Coeli, dove è detenuto, che attesta la lucidità dell’imputato.

L’avvocato D’Agostino ha quindi depositato la cartella clinica del suo assistito in tribunale e ha chiesto che la stessa Corte accerti con una perizia le condizioni di salute di Massimo Ciancimino per valutare se possa partecipare, o meno, alle udienze. Il presidente della corte, Angelo Pellino, si è riservato la decisione sulla richiesta del legale.

Processo Stato-Mafia, Pellino: “Lo scopo non è riscrivere la Storia ma può essere un effetto inevitabile”

Lunedì 29 aprile si è aperto a Palermo, dunque, il secondo atto del processo che, con la sentenza dello scorso anno, ha stabilito l’esistenza di un trattativa tra apparati dello Stato, esponenti politici e boss mafiosi.

Sentenza che portò alla condanna a 28 anni per il boss Leoluca Bagarella e a 12 anni per gli ex generali del Ros Mario Mori, Antonio Subranni e per il fondatore di Forza Italia Marcello Dell’Utri. A otto anni furono condannati l’ex colonnello Giuseppe De Donno e il figlio dell’ex sindaco mafioso, Massimo Ciancimino. A lui, assolto dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa, fu riconosciuto il reato di calunnia nei confronti di Gianni De Gennaro, ex capo della Polizia.

Nella relazione introduttiva, il presidente della Corte ha voluto precisare lo scopo del lavoro giudiziario.

“Qualcuno ha detto che non si può riscrivere la storia guardandola dal buco della serratura del processo penale, metafora non felice che esprime una verità condivisibile quasi banale se con questo si vuole significare che la complessità dei fatti non si può comprimere nella gabbia del paradigma giudiziario, ma può accadere che la riscrittura di un pezzo di storia di un Paese possa essere un effetto inevitabile“, ha detto Pellino. E ha aggiunto: “Se e quando questo effetto si verifichi non deve essere però cercato, perché lo scopo del processo d’appello è verificare la tenuta della decisione di primo grado sotto la lente di ingrandimento dei motivi d’appello. Gli imputati sono persone che saranno giudicate per ciò che hanno o non hanno fatto. Questo è l’impegno della Corte“.

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