Dell’introduzione del salario minimo in Italia se ne parla da un po’ e proprio recentemente il ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico Luigi Di Maio ne ha parlato a Rtl 102.5. Commentando il fatto che l’Italia non sia più in recessione, il vicepremier e leader M5S ha auspicato che il 1° maggio 2019 sia anche l’ultima festa dei lavoratori “in cui in Italia c’è il salario minimo orario”. Quest’ultimo è oggetto del Disegno di Legge n. 658 presentato in Senato, presentato originariamente nel luglio del 2018, su iniziativa parlamentare della senatrice M5S Nunzia Catalfo e firmato da diversi esponenti pentastellati.
Salario minimo in Italia: le ragioni della sua introduzione
Tale DDL prevede l’introduzione del salario minimo a 9 euro lordi all’ora, e dunque al lordo degli oneri contributivi e previdenziali. Come si legge nel testo, a quanto riporta la relazione Eurostat, In-work poverty in the EU dello scorso 16 marzo 2018, in Italia l’11,7% dei lavoratori dipendenti riceve un salario inferiore ai minimi contrattuali (la media Ue è fissata al 9,6%). “Quello che allarma di più è l’aumento record, oltre il 23%, registrato tra il 2015 e il 2016 nel nostro Paese”. A tutto questo si sommano anche i dati sulle prospettive di vita: secondo i dati Censis, “ben 5,7 milioni di giovani (precari, neet, working poor e in lavoro gabbia) rischiano di avere nel 2050 pensioni sotto la soglia della povertà”.
L’Italia è “uno dei pochi Paesi d’Europa storicamente privo di un salario minimo di fonte legale”. In Germania infatti, nel 2018, è fissato a 1.497,80 euro al mese, praticamente in linea con quello francese (1.498,50 euro mensili).
Nello stesso DDL si fa poi riferimento alla volontà di individuare il CCNL maggiormente rappresentativo per assumerlo come riferimento relativamente alla quantificazione della retribuzione oraria che spetta al lavoratore, prendendo in esame fattori come il livello ricoperto, la mansione e il settore di attività.
Salario minimo in Italia: le finalità
L’articolo 1 del DDL n. 658 ha come oggetto le finalità del salario minimo e prende come riferimento l’articolo 36 (comma 1) della Costituzione Italiana, nonché l’articolo 36 della Legge n. 300/1970. Il principio è quello che i datori di lavoro devono corrispondere ai lavoratori “una retribuzione complessiva proporzionata e sufficiente alla quantità e qualità del lavoro prestato”. La definizione di lavoratori fa riferimento all’articolo 2094 del codice civile, che ha come oggetto i rapporti di lavoro subordinato.
Salario minimo in Italia: sindacati e rapporti di lavoro
All’articolo 2 si definisce la “retribuzione complessiva proporzionata e sufficiente” che non deve risultare inferiore “a quella previsto dal contratto collettivo nazionale in vigore per il settore e per la zona nella quale si eseguono le prestazioni di lavoro, stipulato dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro più rappresentative sul piano nazionale”. A tal proposito il riferimento normativo è da ricercarsi alla Legge n. 936/1985 (articolo 4). Ma c’è anche il riferimento alla Costituzione (articolo 39) per il richiamo alle organizzazioni sindacali rappresentative. Quindi si legge che il salario minimo orario non deve essere comunque inferiore a 9 euro all’ora al lordo degli oneri contributivi e previdenziali.
Il comma 2 del suddetto articolo include nel novero dei rapporti di lavoro per i quali deve vigere l’introduzione del salario minimo, anche alcuni rapporti di collaborazione, escludendone al contempo degli altri. In particolare include collaborazioni specificate dall’articolo 2 del Dlgs n. 81/2015, fatta eccezione per i rapporti citati al comma 2b, 2c, e 2d dello stesso articolo.
Salario minimo in Italia: pluralità di CCNL applicabili
L’articolo 3 tratta della pluralità di contratti collettivi nazionali applicabili. “In presenza di una pluralità di contratti collettivi applicabili ai sensi dell’articolo 2”, si legge, “il trattamento economico complessivo che costituisce retribuzione proporzionata e sufficiente non può essere inferiore a quello previsto per la prestazione di lavoro dedotta in obbligazione dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative a livello nazionale nella categoria stessa e in ogni caso non inferiore” a 9 euro lordi all’ora.
Inoltre, per individuare il CCNL di riferimento, si precisa quanto segue. “Ai fini del computo comparativo di rappresentatività del contratto collettivo prevalente si applicano per le organizzazioni dei lavoratori i criteri associativo ed elettorale di cui al testo unico della rappresentanza, recato dall’accordo del 10 gennaio 2014 tra Confindustria, Cgil, Cisl e Uil, e per le organizzazioni dei datori di lavoro i criteri del numero di imprese associate in relazione al numero complessivo di imprese associate e del numero di dipendenti delle imprese medesime in relazione al numero complessivo di lavoratori impiegati nelle stesse”.
Salario minimo in Italia: carenza di contratti collettivi applicabili
E nel caso in cui mancasse un contratto collettivo a cui fare riferimento? L’articolo 4 tratta questo argomento, affermando che in questa eventualità il trattamento economico complessivo da prendere in considerazione è quello previsto dal contratto collettivo territoriale in vigore per il settore e la zona in cui si eseguono le prestazioni di lavoro, stipulato dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative a livello nazionale. Se per scadenza o disdetta manca il contratto collettivo applicabile, bisognerà fare riferimento al previgente contratto collettivo fino al suo rinnovo. Gli importi, sempre non inferiori a 9 euro lordi all’ora, dovranno essere “incrementati annualmente sulla base delle variazioni dell’indice dei prezzi al consumo armonizzato per i Paesi dell’Unione europea, al netto dei valori energetici, rilevato nell’anno precedente”.
Salario minimo in Italia a 9 euro lordi all’ora: qual è il netto?
Salario minimo di 9 euro lordi, va bene: ma in netto quanto sarebbe? Il calcolo da fare è quello previsto per conoscere il netto dal lordo e che abbiamo già affrontato in questo articolo. Dai 9 euro andrebbero infatti tolti i contributi Inps a carico del lavoratore (9,19%) più l’Irpef che prevede diverse aliquote in base al reddito annuo lordo percepito (23% fino a 15.000 euro, 27% fino a 28.000 euro, e così via). Vien da sé che 9 euro lordi equivarrebbero così a circa 7 euro netti o poco meno.
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