Quali sono i problemi più pressanti dell’Italia? Qualunque sia la vostra risposta, chi non è d’accordo potrà pronunciare qualcosa che finisce in –ismo e tutto si risolverà per magia.
Provate.
Se pensate il problema siano i disperati che dormono in stazione, pronunceranno “buonismo” e la conversazione finirà in rissa. Se pensate sia la povertà, pronunceranno “comunismo”. Se direte il lavoro, diranno “populismo”. Se direte l’immigrazione, diranno “multiculturalismo”. Dite che volete legalizzare le case di tolleranza e diranno “maschilismo”. Dite che i campi rom sono zone di anarchia, “razzismo”. Dite che è giusto arrestare chi incendia auto e spacca vetrine, “fascismo”. Dite che le scuole cadono a pezzi, “populismo“. Dite che amate il vostro paese, “sovranismo“.
Il motivo è meno ovvio di quanto si creda.
Una chiacchierata tra moderati è un’esperienza bellissima. Esistono, si riconoscono perché pronunciano frasi tipo “non ho ancora un’opinione” o “ci sto pensando” e sono attorno a noi. Confrontare idee diverse dal vivo ti arricchisce. Si può arrivare da qualche parte, cambiare idea, scoprire prospettive nuove. Sui social no. Discutere in Internet è utile come un caleidoscopio in mano a Bocelli; qualunque discussione terminerà in insulti e –ismo. Anche sticazzi, basta smettere di farlo. Se non fosse che i social sono stati elevati a opinion leader da chi le opinioni le trasmette alla nazione.
Ma chi siamo nei social non siamo noi.
La nera porta dell’inferno – oggi chiamata smartphone – è meritocratica: garantisce voce solo a chi spara cazzate più grosse. Opinioni pacate, riflessioni, ragionamenti, non fanno litigare la gente nei commenti. Viceversa, i bonobo che non possono andare a letto senza aver pronunciato la loro quota giornaliera di –ismo sono attivi, perlustrano le bacheche, fanno traffico, e i siti campano su quello. Perciò le notizie che vengono date stanno lentamente diventando un rivenditore di bersagli. Questo sistema è partito con tangentopoli ed è fiorito ai tempi di Berlusconi, quando la sua vita privata faceva vendere uno sfacelo di copie e dava argomenti a chi, spesso, non li aveva.
La conseguenza arriva nelle urne. Da un lato i giornalisti si preoccupano dell’aumento dell’estremismo in Italia, dall’altro passano le giornate ad alimentarlo e a mangiarci sopra.
L’aggressività che vediamo in rete è stata nutrita, svezzata e addestrata a reagire così per anni. Chiariamo, “il popolo” è sempre stato un coacervo di crudeltà, sadismo e paganesimo fin dall’inizio dell’umanità, ma oggi chi usa i social si sente in dovere di essere stronzo. E in alcuni casi è pure comprensibile: da un lato vede problemi che non vengono risolti, dall’altro quando li fa notare viene tacciato di _________ismo (riempite voi il trattino in base allo schieramento politico). Come reazione diventa aggressivo e la sua aggressività genera introiti ai giornali, che più o meno volutamente la fomentano.
Ci sono varie soluzioni a questo problema, che vanno dai finanziamenti statali (ma è statalismo) all’obbligo di pagare l’informazione (ma è elitismo) al cambiare modo di raccontare le cose (ma è utopismo).
Non si risolve niente, ma si dicono tanti -ismo e questo, Dio sa perché, ci fa credere di aver fatto qualcosa. Mentre il tappeto è sempre più simile a una tenda da campeggio.
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