In un’intervista, DJ Francesco dice che “Bella ciao” è divisiva e naturalmente tutto finisce in banana tempo zero. La folla si straccia le vesti urlando al ritorno del nazifascismo e piovono insulti sanguinosi.
In effetti è strano; anch’io dall’autore di “un passo avanti ondeggiando, uno indietro bailando, muovi a tempo il bacino, sono il capitano Uncino” mi aspettavo profonde riflessioni politiche degne della prima Repubblica. Tuttavia, secondo la regola delle 10,000 scimmie che per 10,000 anni battono su 10,000 macchine da scrivere, DJ Francesco non ha detto (del tutto) una caxxata. Vediamo un po’ la Storia.
Bella ciao ha salutato un sacco di persone, prima.
Durante la guerra di Liberazione, non tutte le brigate partigiane erano di fede comunista. C’erano partigiani “fai da te”, partigiani bianchi (cioè di fede Democristiana), ex militari, socialisti, banditi, carabinieri, monarchici, liberali. Le brigate partigiane comuniste avevano come inno Fischia il vento, scritto sulla canzone popolare russa Katyusha (КАТЮША). Bella ciao la conoscevano solo alcuni combattenti di Reggio Emilia, qualcuno della Maiella che dall’Abruzzo era arrivato a Bologna e pochissimi delle Langhe.
Nei ’50, finita la guerra, fu proprio per questo che Bella ciao venne scelta come canzone della Resistenza: per evitare cori politicizzati e divisori. Benigno Zaccagnini, partigiano democristiano, chiuse il congresso con questa canzone apposta per comunicare unità. Abbiamo combattuto insieme, sticaxxi della fede politica.
Quindi DJ Francesco ha detto una pisquanata?
In parte. Bella ciao sparisce dalle orecchie italiane durante gli anni ‘80. Poi, nel 2002, sotto il governo Berlusconi, Michele Santoro apre Sciuscià cantandola in segno di protesta. È un’immagine potente e se ne parla per settimane. Quattro anni dopo, nel 2006, i Modena City Ramblers alla festa della Liberazione la cantano con Bregovic, l’anno dopo diventa l’inno dei “girotondini” di Nanni Moretti e del movimento no global, così da quel momento entra nell’immaginario collettivo come inno della sinistra e dell’antiberlusconismo, sostituendo L’Internazionale o Bandiera rossa. Siamo un popolo con scarsa memoria storica, perciò dal Capitano Uncino non ci si può aspettare una dichiarazione storicamente accurata.
Ecco perché oggi divide invece di unire.
La canzone ha troppa Storia, dentro, perché uno schieramento politico se ne possa appropriare per molto tempo. Ci ricorda la fine del momento più buio dell’Italia, la sua liberazione, e come uomini e donne di fedi politiche opposte si unirono contro il nemico. Oggi non tutti la cantano perché non sono di sinistra, ma siccome la Storia se ne impippa delle mode del momento, tra qualche anno, Dio sa come o perché, Bella ciao tornerà ad essere di tutti.
Dopotutto, le canzoni hanno una vita ben più longeva dei loro compositori o dei loro esecutori.
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