Rilevatore di presenze dei dipendenti pubblici: come funziona?
Che cos’è un rilevatore di presenze e qual è la finalità. Che cosa dice la legge anche in relazione alla tutela della privacy dei dipendenti pubblici.
Sappiamo che oggigiorno, anche grazie all’apporto delle nuove tecnologie, tener d’occhio il comportamento dei dipendenti pubblici, da parte della Pubblica Amministrazione, è cosa – di per sé – agevole e non complicata. Però interviene la legge a porre dei vincoli e a far sì che comunque sia garantito il diritto alla privacy di una persona e contestualmente limitato un potere di controllo potenzialmente illimitato. Vediamo di seguito come la legge disciplina la cosiddetta rilevazione delle presenze e quali regole di applicazione segue.
Rilevatore di presenze: cos’è e qual è la finalità
Vediamo preliminarmente cosa si deve intendere per rilevatore di presenze e quali scopi stanno alla base. Ogni lavoratore pubblico deve rispettare i propri orari di lavoro, stabiliti nel contratto. Ciò significa che è tenuto a timbrare il cartellino, ovvero rispettare quella procedura attraverso cui il datore di lavoro può capire quando il proprio dipendente arriva al lavoro e quando esce dopo aver terminato le ore di lavoro quotidiane. Esistono, a questo proposito, dei veri e propri sistemi di rilevazione elettronica delle presenze, mirati a far sì che la retribuzione sia quantificata correttamente e a far sì che siano disposte sanzioni, in caso di violazione delle regole sull’orario di lavoro. Oggi i controlli assumono le forme più svariate, ed è diventato comune il rilevatore di presenze con lettori di impronte digitali, retina e riconoscimento facciale (i cosiddetti lettori biometrici) o con sistemi di gps. Attraverso inoltre appositi software, tener d’occhio il comportamento dei dipendenti è diventato assai meno difficile. Insomma, abbandonato il vecchio sistema della timbratura del cartellino cartaceo, oggi il meccanismo di controllo è divenuto molto più efficace.
È appena il caso di ricordare che le norme di legge sul rilevatore di presenze, sono valide ed operanti verso tutti i datori di lavoro pubblici e privati, quindi aziende ed enti pubblici, di qualsiasi settore e di qualsiasi dimensione. Tutto ciò a tutela di quanto disposto nei contratti di lavoro.
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Cosa dice la legge in merito alla tutela dei diritti dei dipendenti pubblici?
A questo punto però è legittimo domandarsi se il rilevatore di presenze, così come concepito attualmente, sia sempre compatibile con diritti del lavoratore pubblico, quali ad esempio quello alla dignità e alla privacy. Il Jobs Act, di cui moltissimo si è parlato in questi ultimi anni, ha avuto lo scopo – tra gli altri – di porre rilevanti modifiche legislative, in tema di controllo delle presenze. La legge in oggetto ha cercato quindi di bilanciare esigenze divergenti, da una parte quella del controllo degli accessi, dall’altra quella della tutela del diritto alla riservatezza. Pertanto, è stato fissato che i controlli e le modalità di installazione di un rilevatore di presenze debbono essere oggetto di un preventivo accordo sindacale o, in alternativa, deve sussistere un’autorizzazione da parte dell’Ispettorato del Lavoro.
La finalità di tale previsione è evidente: l’accordo o l’autorizzazione mira a far sì che, fin dal principio, siano rispettare le norme di riferimento in materia di controlli e privacy, senza rischi di pregiudizio per i diritti dei lavoratori pubblici.
In sintesi, la legge fissa che, se il rilevatore di presenze memorizza esclusivamente gli orari di entrata ed uscita del lavoratore, l’uso è legittimo e conforme alla legge vigente soltanto laddove la PA abbia previamente informato il lavoratore sull’esistenza di tali meccanismi di controllo. Se, invece, il rilevatore di presenze utilizzato consente anche di rilevare e memorizzare gli spostamenti del dipendente pubblico – sia dentro il luogo di lavoro, sia fuori – allora alla base dovrà esserci, obbligatoriamente, o un accordo sindacale in merito oppure un’autorizzazione del locale Ispettorato del Lavoro.
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