Ci siamo.
Pietro Raffa, blogger su Espresso e Huffington Post, twitta entusiasta che Salvini ha fatto 90 retweet e 536 like, mentre la risposta della Boldrini lo ha surclassato: 546 retweet e 2269 like: “Vincere fuori casa è ancora più bello!”, esclama.
Luca Dini, direttore di Glamour, conta i commenti critici a Salvini (oltre 200 su 261!) e dice che Twitter non rappresenta il paese ma “intercetta l’aria”. Tenete presente che né l’account Twitter di Di Maio, né quello di Salvini hanno mai risposto a qualcuno. Mai.
Perché, probabilmente, sono algoritmi. L’opposizione, oggi, consiste nel blastare Siri rivolgendosi a un telefono Samsung.
È impossibile non capiscano l’inutilità di tutto questo.
È impossibile gli intellettuali credano davvero che creare hashtag sposti mezzo voto. Per darvi una dimensione del problema, a pasqua ho conosciuto una maestra elementare, 50 anni, ex PD e ora fiera elettrice M5S che rifiuta qualsiasi dialogo e ha addirittura smesso di guardare i telegiornali “perché parlano male del Movimento”. Magari sono stato sfortunato, ma basta andare in un centro commerciale di domenica pomeriggio e ascoltare i discorsi nelle aree ristoro.
E a occhio non sapevano nemmeno cosa fosse, Twitter.
La narrativa dell’opposizione è così alienata che nei sondaggi, alle prime percentuali in calo, esulta dicendo che è l’inizio della fine di Salvini. Nessuno sembra notare che dalle elezioni Salvini è passato dal 17% al 30%. Un italiano su due è dalla sua parte. Uno. Su. Due.
E se provassimo a capire come mai?
Mi piace pensare che lì fuori ci siano anche persone interessate a migliorare il proprio paese, oltre che a ingrassare il proprio ego su Facebook. Certi sabati sera ci sono ragazzi di diciotto anni che vanno per le case a distribuire Lotta comunista. Sono idealisti e magari obsoleti, ma li rispetto enormemente per l’impegno che ci mettono. Gli lascio sempre qualcosa e ci parlo volentieri; quando hai qualcuno che si prende la briga di venirti a casa, mostrandoti la faccia, ascoltandoti, hai un approccio diverso.
Parli, in modo diverso.
A volte arrivi pure a cambiare idea.
Forse il segreto di Salvini è davanti al nostro naso
Le felpe, la pasta, il DJ set in spiaggia, i selfie in discoteca. Se siamo abituati a passare i fine settimana a Capalbio non li capiamo e gridiamo al populismo. Ma il messaggio che recepisce il popolo – ricordiamo, la stragrande maggioranza – è che Salvini non li disprezza. Non si crede superiore a loro. Ci sta in mezzo, gira e conosce le sue abitudini, i suoi riti e i suoi costumi. Di Maio fu perculato ferocemente quando andò a Napoli a baciare il sangue di San Gennaro. Quanti napoletani sono presenti, in media, alla cerimonia? Sono vecchi riti, tradizioni (o superstizioni, se preferite) che fanno parte della cultura popolare.
Non possiamo pretendere di cambiare il paese se lo disprezziamo in questo modo. Non può funzionare.
Cambiare strategia, cambiare uomini o cambiare lavoro
In Italia, ma anche nel resto del mondo, stiamo assistendo alla polarizzazione della politica. Il centro sta scomparendo assieme ai moderati, sostituiti da boscimani che si urlano dietro senza alcuna intenzione di comunicare o di trovare un punto comune. E questo è l’opposto della democrazia. L’idea originaria è “abbiamo idee diverse, troviamo un punto in comune che ci faccia evolvere insieme”.
Non ci sono buoni o cattivi, noi contro loro, fascisti e partigiani. Siamo nel 2019 e forse dovremmo piantarla di fare politica coi social – e con la retorica che c’ha insegnato – per andare a Torre Maura ad ascoltare storie, discorsi e persone che non condividono il nostro punto di vista o il nostro modo di vivere.
Essere propositivi.
E sì, anche rischiare di farsi dire “cazzo, parli come il mio professore di religione” da una ragazzina di Lotta comunista.
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