Il meglio dell’Italia è (anche) il suo peggio

Pubblicato il 14 Maggio 2019 alle 18:34 Autore: Nicolò Zuliani
Il meglio dell’Italia è (anche) il suo peggio

Non passa giorno in cui il nostro paese – e il nostro popolo – non vengano ritratti come truffatori, nullafacenti, cialtroni, ignoranti e altre amenità. Viene dato enorme risalto ai linciaggi, e le pagine Facebook che deridono mamme pazze o analfabeti fanno milionate di like. Tra l’altro è una cosa estremamente facile da fare, dopo un po’; devi solo leggere le notifiche e pubblicare le più meritorie. È un lavoro certosino, ritrarre solo il peggio del proprio paese. Le persone intervistate devono essere tutte idiote, e possibilmente brutte. Il motivo è la clickocrazia e i tempi televisivi di cui vi ho già parlato.

Questo ci ha abituati a vergognarci di noi

Vedere sempre il marcio dietro ogni cosa, immaginare il peggio, guardare le cose solo per trovarci i difetti è diventata una vera e propria forma mentis tricolore. Me ne sono accorto quando leggevo l’esilarante saga di Juicero.

Scommetto che avete socchiuso gli occhi.

Per farla breve, negli USA un tizio fa uno spot dove dice “sei stanco di frullare la roba, con tutto lo sbattimento e gli scarti da buttare? Tranquillo, lo facciamo noi al posto tuo”. Dopodiché propone una strana macchina dentro cui bisogna inserire delle buste di plastica con il succo dentro. Premi un tasto, e nel tuo bicchiere esce la deliziosa centrifuga, il saporito succo, il dolce nettare.

La macchina costava 700 euro.

Ora, se questa roba fosse stata proposta da noi, anche un falegname di Mestre avrebbe capito che stava pagando 700 euro per una spremitrice e 5 euro una busta di frullato. Se proprio gli piaceva il succo che vendeva Juicero, comprava solo le buste e se le spremeva da solo. A questo ragionamento gli americani sono arrivati dopo anni, ma si sono limitati a chiedere se si poteva fare. I titolari hanno replicato di no, perché le buste erano magiche e la forza che serviva per spremerle era pari a quella di 100 sfere genkidama. Il popolo americano si è fidato.

Solo dopo altri anni un tizio ha provato a spremere le buste a mano, ha pubblicato il video su Youtube, Bloomberg ha raccontato la storia e Juicero ha chiuso per fallimento.

Voi quanto ci avreste messo, da 0 a 2 secondi?

In Italia tutto questo non sarebbe mai accaduto. Mai.

Vostra madre avrebbe preso la busta, l’avrebbe sventrata col taglierino, poi avrebbe preso Juicero dicendo “cousa l’è chés qùi?” e l’avrebbe portata in discarica. Vostro nonno avrebbe aperto Juicero col cacciavite, avrebbe esclamato “ma no serve a un’ostia” e l’avrebbe usato come fioriera. Se credete la metafora “dura come un gatto in tangenziale” sia azzeccata, anche “dura come Juicero in Sardegna” rende bene.

Noi non ragioniamo da popolo, ma da anarchici. “Oni testa è nu tribunali”, dicono in Calabria. In Italia, nello stesso comune, nel raggio di 16 chilometri la pasta si fa in un modo diverso. E sono tutti tradizionali.

I nostri lati negativi, l’essere disfattisti e scettici, sono sì un grosso handicap, ma sono anche quelli che ci rendono pressoché intruffabili da qualunque altra popolazione. E questo discorso mi è stato fatto da un napoletano che era venuto a Venezia per comprare un oggetto di famiglia. Dopo che l’affare si è concluso tra mille accortezze – l’oggetto valeva – io mi sono scusato di tutte le premure e la diffidenza. Lui ha fatto spallucce e ha detto che non c’era problema, dato che se avesse voluto truffarmi avrebbe potuto farlo così, così, così e così.

Ma non l’aveva fatto.

Rotto il ghiaccio, davanti a uno spritz gli ho raccontato che avevano tentato di contattarmi dalla Nigeria, ma io non ci ero cascato. «No, buono» mi ha detto, gonfiando il petto «non c’è disonore nel farsi truffare da un napoletano. In un certo senso è un privilegio, t’insegna a vivere. Ma se ti fai truffare dai nigeriani… eh, figlio mio…». Poi è riuscito a trovare una persona che conoscevamo in comune, mi ha detto di andare a casa sua se passavo per Napoli e se n’è andato.

Quel discorso è stato una delle più belle e sincere dichiarazioni d’amore al nostro popolo che abbia mai sentito. È un ragionamento scanzonato, malinconico e divertito assieme, tre aggettivi che ci raccontano bene. Forse è come dice Valerio Massimo Manfredi, che come me ha la malattia dell’innamoramento, il quale a chi gli espone i nostri difetti replica “al cuor non si comanda”.

Però Juicero. Dai.

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L'autore: Nicolò Zuliani

Veneziano, vivo a Milano. Ho scritto su Men's Health, GQ.it, Cosmopolitan, The Vision. Mi piacciono le giacche di tweed.
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