Un’americana scrive che l’Aperol spritz non è un granché come cocktail.
Apriti cielo.
La folla insorge, tutti i giornalisti e gli opinionisti hanno tutti qualcosa da dire. “Che si mangino la pasta col ketchup”, risponde la suburra. Non è nemmeno possibile dire se il cocktail sia effettivamente buono o meno, dato che da un lato ognuno ha i suoi gusti, dall’altro ci sarà sempre qualcuno che vuol fare il kontrokorrente.
L’Aperol spritz è un cocktail che ti droga con lo zucchero, così da costringerti a compensare mangiando patatine che ti drogano di sale, così da farti venire sete che ti fa ordinare un altro spritz.
Ma è un cocktail veneziano!
Sono nato e cresciuto a Venezia e fino al 2000 se entravo in un bacaro chiedendo “maestro, el me fa un spris?” mi arrivava un bicchiere da birra piccola con dentro Select, vino bianco fermo, uno spruzzo di selz, tre cubetti di ghiaccio, scorza di limone e oliva. Costo, 1500 lire. Perché era un cocktail da barcaroli. L’Aperol è arrivato dopo, adottato in fretta e furia dai ristoratori per compiacere i turisti zuccherotossici, ma dovevi specificarlo: dire “el me fa un spris co’ l’Aperol?”.
Per l’alta borghesia e l’aristocrazia, Venezia ha e avrà sempre un solo aperitivo: il Bellini, inventato da sua maestà altissima Giuseppe Cipriani con prosecco e nettare di pesche bianche.
È un buon aperitivo?
Partiamo dal fatto che l’aperitivo di partenza è il vino. La differenza tra un adulto e un ragazzino è che uno sa bere bene, l’altro sa bere tanto. L’aperitivo dovrebbe coccolare il palato nell’attesa del cibo, non ridurci ammerda. Quindi a 39 anni ho imparato quali cocktail mi rovinano l’appetito – e la serata – e quali invece no. Eviterò di elencare i miei gusti, dato che son solo miei, ma una buona idea per i giovani avventurieri abituati ad Aperol Spritz, gin tonic e Long Island è cominciare da qui. Quando avrete imparato quale amate e saprete elencare ingredienti e dosi a memoria, proseguite qui.
Rifate lo stesso processo, poi avrete un’idea discreta dei vostri gusti e di che sapore hanno i cocktail buoni.
Ora è il momento di trovare un vero barman
L’Italia si sta riempiendo di hipster che si proclamano mixologist, fanno mille e mille acrobazie e se va ben… ino remixano cocktail già inventati, se va male fanno intrugli con 456 ingredienti che hanno tutti lo stesso sapore ma costano 20 euro. Solo che ora avete una cultura, e quando vi portano un menù lo scorrete, lo scorrete di nuovo, poi alzate la testa e dite “mi fa un Manhattan, per piacere?”. Un barman è qualcuno che conosce i propri clienti, i loro gusti, e la volta che uno gli si presenta dicendogli che ha voglia di qualcosa di nuovo, gli piazza un drink inventato da lui che rispecchia i suoi gusti. È così che sono nati cocktail leggendari, nelle hall degli alberghi.
Quindi è già stato tutto inventato?
Tutt’altro.
Ci sono molti capolavori andati perduti, che si possono recuperare dai vecchi libri di testo dei maestri. Può essere un mio fetish di appassionato di storia, bere i cocktail che Elvezio Grassi servì a D’Annunzio o Vittorio Emanuele. Ma una cosa che a me affascina sono i nostri ingredienti, europei o italiani; è un territorio dimenticato. Eppure siamo il paese della grappa, per dirne una. Liquori come Lo Strega e il Galliano lo conoscono più all’estero che qui. China Martini, Zucca, Averna, sono ingredienti che gli americani non avevano, quindi non potevano inventarsi cocktail con quelli. C’è ancora molto da scoprire e un barman è il nostro Virgilio.
Solo che di fianco deve avere Dante, non un idiota che vuole solo finire a vomitare negli angoli. Insomma, c’è vita oltre lo spritz.
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