Reddito di cittadinanza: perché conviene rinunciare e con che requisiti
Reddito di cittadinanza: l’intenzione di rinunciare al sostegno passa da casi concreti e da difficoltà oggettive riscontrate dai soggetti coinvolti.
Il reddito di cittadinanza in cifre racconta che sinora sono state inoltrate più di 1 milione di domande. Nelle ultime settimane tiene banco il tema della volontà di rinunciare al sostegno economico da parte di chi ha visto riconoscersi importi più bassi rispetto alle proprie aspettative.
Giallo sulla platea di rinunciatari del RdC
La questione chiama in causa il tema dei controlli e delle sanzioni. Infatti secondo molti osservatori dietro la volontà di rinunciare al diritto acquisito ci sarebbe il timore di lavoratori in nero di essere scoperti. C’è poi il giallo intorno al numero ipotetico di quanti vorrebbero rinunciarvi. C’è addirittura chi parla di oltre 100.000 persone. Ma sia esponenti di governo come Di Maio che il commissario dell’Inps Tridico hanno smentito tale eventualità spiegando che al momento non vi è neanche la procedura per rinunciare al sostegno. E pertanto sarebbe semplicemente impossibile azzardare e quantificare una platea di rinunciatari.
Reddito di Cittadinanza, il lavoratore occasionale per due aziende
Ha affrontato il tema del Reddito di Cittadinanza il Corriere della Sera che in un articolo pubblicato il 17 maggio a firma di Antonio Polito ha raccontato il caso di un lavoratore che vorrebbe rinunciare perché il riconoscimento di una cifra mensile pari a 186,46 euro preferirebbe rinunciarvi.
Il caso raccontato è un caso limite. In quanto si tratta di un “lavoratore occasionale per due aziende” con un fatturato inferire ai “cinquemila euro all’anno”. Una cifra raggiunta con alcuni lavori saltuari: venditore, vetrinista.
La difficoltà raccontata dal lavoratore beneficiario del reddito consiste nella modalità prevista dal Governo. È lo stesso lavoratore a spiegare gli ostacoli.
Un caso concreto
«Il mio problema è: ora mi chiedono di firmare il DID, dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro. Ma si parla di otto ore di lavori sociali alla settimana, più corsi di formazione. Se mi mettono per iscritto che le posso cumulare in un solo giorno, e che i corsi sono serali, allora posso continuare a lavorare e accetto l’assegno. Ma nessuno me lo sa dire».
In sostanza l’uomo preferirebbe rinunciare ai 186,46 euro al mese piuttosto che perdere le sue entrate e alla fine magari ritrovarsi comunque senza un lavoro. E infine l’articolo riporta la dichiarazione di una funzionaria del centro Uil Virginia Verrone la quale spiega i “calcoli sono fatti sull’Isee degli anni passati e nel mondo della precarietà le cose possono cambiare rapidamente, determinando ingiustizie in un senso e nell’altro, sia erogando troppo che troppo poco. E poi c’è il sospetto, cui l’Inps pare voglia rispondere con una campagna di gazebo esplicativi, che gli ultimi, i poverissimi, al Caf non ci arrivino neppure, e rimangano perciò fuori”.
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