L’articolo 27 della Costituzione dice che “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. In pratica, secondo l’Italia, un individuo che delinque va rieducato, non punito. Così dice la legge. Quando succede un crimine, però, dalla popolazione è un fiorire di richieste di pene di morte ed ergastoli; chi prova a ricordare la legge, o a dire che le persone hanno diritto a una seconda possibilità, si becca il “buonista” e la discussione termina.
Succede anche coi ragazzini
È esilarante quando degli adolescenti delinquono o si azzuffano e sotto agli articoli arrivano a pioggia commenti indignati da parte degli adulti che alternano richieste di schiaffi, botte, pene corporali, lavori forzati, esecuzioni a domande tipo “come mai sono così violenti?“. Dev’essere colpa dei videogiochi” e “dove sono i bei valori di un tempo?”. Eppure ci sono storie eccezionali; dimostrazioni reali di come una vita possa essere non solo salvata, ma redenta, e con il minimo sforzo.
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Lo sport è una di queste
Anni fa avevo intervistato Angelo Valente, campione mondiale di Savate e Kick boxing. Un passato in brutti ambienti, rinato grazie a pugni e calci. Siccome fa tanto Rocky, questa roba sa di già visto e la gente non si fida perché teme la retorica dell’onore, del guerriero e tutta quella roba lì. È dura, poi, spiegare che un tizio grosso e pieno di tatuaggi che piglia a pugni un sacco in un sotterraneo è una brava persona. Così sono andato a prendere lo sport più snob che m’è venuto in mente – la vela – e ho scoperto Sardiniasail.
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Barche a vela, carcerati e polizia
Simone Camba è assistente capo della Polizia di Stato e, nel tempo libero, velista. Anni fa ha pensato che ai ragazzi sbandati nessuno dava un’alternativa concreta, e che è difficile rieducarsi fissando una parete e picchiandosi con gli altri detenuti. Consapevole che una barca in mezzo al mare è talmente l’opposto di una cella da assomigliarci, nel 2015 s’è messo d’accordo con il Centro per la Giustizia Minorile e ha creato il progetto “Una vela per amico”. Quattro ragazzini sottoposti a misura penale stanno per quattro mesi in barca.
Se fosse un film americano sarebbe l’inizio di un thriller. #Einvece.
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Invece è una figata, e funziona
Mettere ‘sti ragazzini su una barca a vela e insegnare loro com’è far parte di un equipaggio porta risultati, tanto che Simone crea l’ASD New Sardiniasail in collaborazione con il Tribunale di Cagliari e il Centro per la Giustizia Minorile. In quattro anni partecipano circa 60 ragazzi tra i 15 e i 22 anni; alcuni decidono di restare a bordo, farne un lavoro. Altri grazie a quello che hanno imparato riescono a reinserirsi nella società. La vela è uno degli sport più chiacchierati e meno conosciuti: chi lo vede dall’esterno crede sia gente spaparanzata al sole.
Chi lo pratica sa che è un massacro sia fisico che psicologico dove la collaborazione con l’equipaggio è necessaria alla sopravvivenza, e dove basta qualcuno sbarelli perché l’intera nave collassi.
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È esattamente per storie come queste che io pago le tasse
Oggi a destra si parla di immigrati che delinquono e di immigrazione incontrollata, di baby gang che rapinano e adolescenti che accoltellano. A sinistra si tacciono i problemi e si racconta di un ipotetico mondo bellissimo dove sono tutte brave persone.
Forse raccontare anche storie come queste potrebbe aiutare a ridurre l’estremizzazione del dialogo. Dare alternative, speranze, dimostrazioni che uomini e donne che sbagliano non sono predestinati, ma esseri umani capaci di apprendere una strada diversa, se viene loro data la possibilità di guadagnarsela. È dai tempi della Legione straniera che gli uomini cercano redenzione.
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Qui invece del fucile usano un verricello.
Meglio di così.
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