Ho abbastanza anni per ricordare quando a Venezia accogliere turisti era un piacere. Girare per piazza San Marco la domenica, quando tutti si vestivano “a modo” perché era una celebrazione, sono ricordi che sembrano più un film che la realtà. Mi sono trasferito in terraferma nei primi anni ’90 quando Venezia stava già diventando altro; Gardaland, la chiama oggi qualcuno.
I politici veneziani (eletti, ricordiamo) hanno scelto la strada facile a quella difficile e hanno lentamente spopolato la città trasformandola in un’attrazione turistica, dove la vita veneziana è rimasta in pochissime nicchie – che mi guarderò bene dall’elencare.
Venezia con l’illegalità convive da sempre.
I tronchettari che dirottano i turisti al bivio, i prezzi che variano in base all’accento o alla lingua, le licenze ai tassisti concesse in base alla tessera di partito, il Mose, le truffe di Burano, le imitazioni spacciate per vere. Senza ricordare Kociss, la mala del Brenta o i grandi ladri veneziani, oggi a Venezia xè dura trovare cose legali. Abbiamo la percentuale di venditori abusivi più alta del mondo, per dirne una.
E ai veneziani va bene, perché molti hanno trasformato la loro casa in B& B abusivi (oltre 100, in aumento), oppure vendono panini, pizze e altri orrori industriali. Ad agosto, o al Redentore, o al carnevale, Venezia è al collasso perché si tratta di una città medioevale che deve gestire numeri da metropoli.
Da qualche anno ci si lamenta delle grandi navi
Il colpo di grazia sono stati i trasatlantici che invadono il canal grande e sbarcano straccioni (per cultura ed educazione, di base) che oltre a essere brutti, sporchi e maleducati trattano Venezia alla stregua del loro cortile. A nessun veneziano dispiace se vengono rapinati in modi più o meno leciti, perché verso di loro proviamo l’antipatia del creditore verso lo strozzino; i turisti da una parte degradano la nostra città, ma dall’altra senza di loro moriremmo di fame.
Noi lo tolleriamo, perché possiamo vendergli paccottiglia. Ha ragione Maurizio Dianese, quando su Mala tempora dice «prima eravamo poveri e ignoranti, oggi siamo diventati ricchi e ignoranti».
Banksy ha ragione
Non siamo una città per il turismo di massa. Venezia è ancora in tempo per tornare a essere una città vera e focalizzarsi sul turismo d’elite. Non è snobismo, ma sopravvivenza. Ben vengano gli ospiti a casa dei veneziani, ben vengano i ricchi al Casinò, ma di idioti arrivati con crociere-bestiame che cagano su scalinate del 1400, si fanno un selfie e ripartono, possiamo fare a meno.
Invece di gridare scandalizzati per gli scontrini esorbitanti di piazza San Marco bisognerebbe prenderli come esempio. Brugnaro ha ragione. Sei in una delle piazze più belle d’Italia, in un caffè con oltre 200 anni di Storia che ascolti un pianista dal vivo e vieni servito in guanti bianchi da camerieri che parlano tre lingue: davvero t’aspetti di pagare come al bar sport di Mestre?
Se la risposta è sì, Venezia non fa per te.
Perché è una città unica al mondo, dotata di una bellezza inaudita e capace di prenderti l’anima. I suoi silenzi di notte, l’odore salmastro dell’aria, l’assenza di macchine, le sere d’estate quando ceni in altana, il mercato del pesce e far la spesa nelle botteghe, camminare circondati da un’architettura sublime, umana e immortale. Il ballo del Doge, le feste segrete a CàVendramin, ma anche andare coi fioi a Pellestrina, bere il caffè al Lido o il gianduiotto da passeggio da Nico, sapere che col festival del Cinema ci sarà Johnny Depp ubriaco nel suo locale preferito che suona il piano.
Sono piccolezze, forse. Ma per averle sei disposto a tollerare tutto, perché Venezia t’insegna che la comodità è il patibolo della bellezza. Dobbiamo avere il coraggio di alzare il tiro.
Forse è antipatico, ma l’alternativa lo è anche di più. Davvero il problema è che Banksy ha osato parlarne?