Ha fatto molto ridere l’Internet lo spettacolo della sindaca di Codognè, che è arrivata in municipio a cavallo con musica epica e bandiera indipendentista manco fosse l’incoronazione di Grampasso a Minas Tirith. Guardare quei video, con il corteo di grezzabbestia che procede tra gli applausi sotto un cielo plumbeo, è ipnotico; Codognè fa neanche seimila abitanti e nessun documento certifica quanti di essi siano bipedi, eppure è la mia terra.
Solo chi è nato in città può trovare questo spettacolo ridicolo.
Chi nel veneto è nato e cresciuto sa che ci sono ben altre vette di orrore. Nel corso degli anni ho visto motozappe pimpate, trattori con i led, spose arrivare in chiesa a cavallo di un musso – asino – seguite da un corteo di tizi in canotta e cappello di paglia. Fanno parte di quelle storie troppo surreali perché possano essere raccontate, e se provi a farlo non ti credono.
La gente che sa se cuore si scrive con la C o con la Q che ne può sapere?
Prima di trasferirmi a Milano e mettermi a scrivere ho fatto molti lavori, tra cui affissioni di manifesti elettorali per tutta la provincia di Treviso e vendita porta a porta di surgelati. Ho visto realtà preistoriche, bestiali. Gente che vive ancora nel 1800, che quando suoni al campanello esce con lo schioppo e grida alle figlie di stare in casa. Nei salotti, nelle cucine, ho sentito odori che farebbero svenire Rambo. Cane bagnato, pecorino, sudore stagionato, paglia umida, e fuori tre Porsche Cayenne.
Cucine con le galline che scorrazzano e cacano fuori controllo “eh perché mio marito sta sistemando il pollaio”, bambini che si rotolano in pozze batteriologiche, tappeti da 20.000 euro su pavimenti mai lavati. Ragazzine in tacchi Lobotin che arrancano nel fango delle sagre.
Religioni pagane, misticismi, sacrifici.
Ho visto gente erigere totem in giardino per sconfiggere le malvagie scie nel cielo. Altari nei boschi con rune celtiche, resti di animali e preservativi. Le persone di città guardano il vincitore del concorso “becco più bello”, dove la capra è il migliore animale che c’è “dopo la donna”, e ridono. Credono persone così siano eccezioni, ma io ho bevuto in tuguri immondi dove a una certa ora partiva il trauma cranico party, e i sopravvissuti derapavano nei campi per poi uccidersi contro platani, fossi, tralicci. “Veneto nasiòn”, urlano tuffandosi in mezzo metro d’acqua e poi via, in pronto soccorso a picchiarsi con gli infermieri.
Luoghi dove la detenzione illegale di armi da fuoco è la norma, e periodicamente i Carabinieri devono smantellare tentativi di costruire carri armati o bat ruspe, sequestrano quintali di droga, mitragliatrici e bombe a mano. È qui che gli ordigni bellici della seconda guerra mondiale vengono portati a casa e aperti a martellate; a volte la casa frana ed è grande tragedia, a volte si riesce a estrarre l’esplosivo ed è grande festa. La riviera del Brenta, dove te te pianti fazioi e vien su criminai, dove ogni tanto dal Brenta emergono automobili e cadaveri.
Che ne sanno, quelli di città?
Di sparatorie tra barche, di indipendentisti che parlano con camionisti slavi e sono certi di trattare con l’ambasciatore croato, di donne contese a chi sputa l’osso dell’oliva più lontano, di capannoni con teglie di patatine fiappe e prosecco etanolico con nomi altisonanti spacciati per discoteche? O di mariti che si recano in farmacia con un biglietto recante la scritta “pomata paa mona”, poi a casa scambiano i flaconi e lui si lava i denti col Vagisil, l’altra si spara in berta 200cc di Pasta del capitano. La gente vede una sindaca a cavallo e ride, senza capire che affinché quella scena possa accadere, mille sono state omesse.
Perché nessuno ci crederebbe.
Perché non sono veneti.
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