Per i giudici della Cassazione vendere i derivati della cannabis light è reato. La decisione degli ermellini è arrivata nel tardo pomeriggio di giovedì 30 maggio con una sentenza che potrebbe mettere a rischio la sopravvivenza di quasi 800 negozi.
Come si legge nell’informazione provvisoria, “la commercializzazione di cannabis sativa e, in particolare, di foglie, inflorescenze, olio, resina, ottenuti dalla coltivazione della predetta varietà di canapa, non rientra nell’ambito di applicazione della legge 242 del 2016, che qualifica come lecita unicamente l’attività di coltivazione di canapa delle varietà iscritte nel catalogo comune delle specie di piante agricole, ai sensi dell’art. 17 della direttiva 2002/53 Ce del Consiglio, del 13 giugno 2002, e che elenca tassativamente i derivati dalla predetta coltivazione che possono essere commercializzati”.
Per i giudici della Suprema Corte, a sezioni unite, integrano il reato di produzione, traffico e detenzione di sostanze stupefacenti o psicotrope (art. 73, commi 1 e 4 del dpr 309/1990) tutte quelle “condotte di cessione, di vendita e in genere la commercializzazione al pubblico, a qualsiasi titolo, dei prodotti derivati dalla coltivazione della cannabis sativa, salvo che tali prodotti siano privi di efficacia drogante”.
Cannabis light illegale: il futuro di centinaia di commercianti
In attesa che vengano depositate le motivazioni della sentenza, il futuro dei cosiddetti cannabis shop ruota tutto intorno alle ultime parole scelte dai giudici: “Salvo che tali prodotti siano privi di efficacia drogante“.
Così come formulata, infatti, l’informazione provvisoria non specifica quali siano i parametri per misurare l’efficacia drogante di uno specifico prodotto. Sempre la Cassazione, qualche mese fa, aveva stabilito che la cannabis light era lecita solo se rispettava il parametro dello 0,6% di Thc, ovvero la sostanza psicotropa contenuta nella canapa. Per la legge, invece, la soglia limite per la vendita al dettaglio si abbassa allo 0,2%.
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