È il primo giorno di lavoro nella redazione di Frantic Kukkuni, rivista online. È in un palazzo ottocentesco, l’interno della redazione pare la casa di Neo e tranne cavi, iMac e sedie dell’Ikea, vuoto e crepe regnano sovrane. Ennio Costello ha quarant’anni, un completo di lino grigio ed è senza cravatta. Il suo redattore ne ha venti, indossa jeans tagliati a pinocchietto, una maglietta bianca chiazzata di vernice, Birkenstock e cappello a visiera dei Lakers: «Vieni, vieni, che siamo in riunione» dice, conducendolo all’interno.
La sala riunioni è bianca, con un grosso tavolo rettangolare circondato da sedie dell’Ikea su cui sono seduti una ventina di trentenni, perlopiù donne e gente che, da quello che indossa, sembra sia appena fuggita da un sotterraneo dov’era stata sequestrata.
«Buongiorno» dice Ennio.
«Ciao» dicono tutti in coro.
Si sistema sull’unica sedia disponibile.
«Oooh bene, ci siamo tutti» esclama il capo, cinquantenne in maglietta nera e jeans, capelli lunghi e pizzetto a la Raz Degan, stivale da cowboy: «Abbiamo già fatto le presentazioni, ma visto che è arrivato Ennio, facciamo un ripasso veloce. Ennio è qui perché anche se vecchio, stronzo e pelato scrive bene. Vero, Ennio?»
«RRRAAAAAH» urla Ennio, poi la sedia dell’Ikea cede, facendolo schiantare per terra.
«Bravo, bravo. Ti presento la redazione: quella con le ciabatte pelose e l’occhio azzurro pallato è Citalopram, due ricoveri per depressione, un tentato suicidio, bulimia.»
«Ciao» fa lei.
«Brava, brava. Quella vestita di nero invece è Bralla, gagliardissima sui social, laureata in architettura, ha paura di essere lesbica e per non pensarci scrive a Trump su Twitter.»
Bralla opta per un più distaccato arricciamento del naso a mò di saluto.
«Quella sovrappeso coi capelli a fungo atomico e i brufoli è Ciccilla, le manca la sua Puglia, si consola con la crema al Pan di stelle e con masturbazioni, ho detto giusto?»
«Tutto giusto, sì» annuisce Ciccilla.
«Quello gracile e pelato con gli occhiali da proctologo è Firillo, settantatré malattie veneree guadagnate nei bagni degli autogrill, un sacco di botte ricevute in generale, è qui perché gay. Non ti saluta perché non sa parlare dal vivo, lascialo perdere.»
Tlùn, fa il cellulare di Ennio.
È una mail da Firillo, oggetto: ciao.
«Gli altri son un po’ quegli oggetti che tocca tenere in redazione tipo grafici, gente che sa fare le robe coi codici blablabla, hmm.. commerciali… scusa, ma tu chi sei?» domanda il capo, girandosi verso un cinquantenne brizzolato in completo blu e camice bianco, semicoperto dalla porta.
«Io… io sono il dottor Borghese, lavoro allo studio qui sopra. Otorino.»
«E che cazzo ci fa, qui, dottore?»
«Ero entrato per usare il bagno, poi ho sentito le presentazioni e mi sono fermato ad ascoltare.»
«Non ha un bagno?»
«Sì, ma ci è rimasto chiuso dentro un paziente con gli attacchi di panico. I pompieri ci metteranno un pezzo a tirarlo fuori, io ieri sera ho mangiato gorgonzola e sono allergico al lattosio. Vi spiace se resto nei paraggi?»
«No, no, prego. Dicevo, siete stati valutati e scelti con cura. La domanda che vi state facendo è: perché sono qui? Cos’è, Frantic Kukkuni?»
Tutti annuiscono. Ennio anche, un po’ in ritardo.
«Ebbene, Frantic Kukkuni è un’idea. Cos’è che manca, oggi, nel giornalismo mondiale? Pensateci bene.»
«Bè, secondo me…» osa quello che sembra un grafico.
«Le stampanti non pensano» fa il capo.
Nessuno osa parlare.
«Ragazzi, al giornalismo oggi manchiamo noi!» dice, alzando le mani.
Oooh, dicono gli impiegati.
«Frantic Kukkuni parlerà di arte, poesia, architettura, vibratori, arredamento, turismo minorenne, severe critiche sociali, lenti d’ingrandimento d’arredo, la politica vista dai giovani che non s’interessano di politica, attivismo per chi vuole fondare un’associazione sportiva di bob e droga. La gente deve cliccare il nostro link senza sapere se vedrà il logo di Frantic Kukkuni o quello della Polizia di stato che l’ha posto sotto sequestro preventivo. Oh, dimenticavo: gli argomenti verranno affidati a sorteggio, per rendere piccanti le cose. Tutto chiaro?»
Sguardi.
«Ennio. Tu, per esempio, sei stato scelto perché sei molto bravo a scrivere necrologi, giusto? Ti leggo e sento proprio le fredde dita della greve signora che mi ghermiscono, il piagnucolìo disperato dei vivi, la luce plumbea della cripta, ‘a muorte. Adesso io prendo il Tricky Traps, no? Faccio una partita e in base a dove perdo la prima pallina ci sarà il tuo argomento. Hop… hop… ecco, scriverai di Storia.»
«Poi: dottor Borghese?»
«Dica.»
«Lei si occuperà di aeronautica. Articoli lunghi, dettagliati, che facciano tremare il nostro ministro della Difesa.»
«Posso firmarmi con un nom de plume, tipo SkiavettoLeccapiedi45?»
«Ma certo.»
«Capo, mi scusi» dice Ennio, alzando la mano «Io non ho una laurea in Storia.»
«E allora? Li vuoi i soldi? Scrivi, scrivi. Una roba lunga, vai nelle cose, come si chiamano?»
«Dark room?» suggerisce Ciccilla.
«No, librerie. Biblioteche. Adesso vi mollo perché ho una riunione in una casa editrice, ci vediamo domani» dice il capo, poi apre la finestre e si getta di sotto. C’è un tonfo, tutta la redazione si sporge appena in tempo per vedere la limousine decappottabile con piscina integrata che procede nel traffico. Dentro, il boss nuota e lo vedono dare indicazioni all’autista.
Ennio si siede alla sua postazione, l’unica che monta un sistema operativo Windows. Dal bagno provengono i suoni mostruosi del dottor Borghese, per il resto tutti fissano i monitor in silenzio. È la prima volta in quasi quarant’anni che Ennio ha una scrivania. Prima faceva altri lavori, tutti in piedi. Quella è la prima scrivania della sua vita. Timidamente tira fuori la foto di sua moglie e di suo figlio, la incastra nella tastiera numerica. Fissa di nuovo il monitor. Ripensa a quello che ha imparato negli anni: se non hai niente da dire, ribadisci l’ovvio. Di Storia può scrivere chiunque, ci sono un sacco di testi interessanti.
«Qual è l’ultima cosa che vi ricordate di Storia?» domanda Ennio alla redazione.
«La seconda guerra mondiale» rispondono tutti all’unisono.
«Desert storm» fa il dottor Borghese dal bagno.
«Vabbè, partirò dalla fine di quella» stringe le spalle Ennio, il suo primo giorno di lavoro.