La Storia mi piace perché è parte integrante della nostra quotidianità, senza che ce ne rendiamo conto. Ho cambiato gusti, modo di ragionare, di vivere e di divertirmi quando mi sono accorto che nel corso della Storia ci sono cose senza tempo: azioni, problemi, oggetti, filosofie, dilemmi, un filo sottile che può unire chiunque in qualunque epoca.
Nello straordinario libro di Luigi Barzini, inviato del Corriere in Estremo Oriente durante la rivolta dei boxer, ce ne sono molti esempi.
Sono i primi del ‘900, il viaggio è un’avventura; il piroscafo sgorla, non c’è aria condizionata, Internet o televisione, i viaggiatori svengono o sono massacrati dal mal di mare. Quindi passano il tempo socializzando tra loro, scambiandosi le ultime notizie che arrivano dai giornali, flirtando o facendo comunella. Quand’è sera, Barzini soffre perché si deve mettere l’abito da cena, cioè il frac.
Alle donne va peggio. Sottoveste sotto, sopra vestiti di cotone o lana, guanti di velluto, se proprio ti senti zoccola osi scoprire il collo e le spalle. Lo facevano perché si doveva, certo, ma Luigi si consola dicendo che si tratta pur sempre di un evento in società, e “certo non si può apparire in pubblico in vestaglia”.
Mi sono ricordato quando a vent’anni giravo vestito da desperado. Sono cambiato parecchio, ma nessuno mi ha insegnato a farlo. Probabilmente nemmeno a te che mi leggi. Abbiamo dovuto arrangiarci con Internet, con le vetrine, scopiazzando il cinema e la TV; i media hanno fatto quello che mio padre non ha fatto. Perché?
Tutto parte nel 1968
Durante la – delirante – rivoluzione culturale, dopo i baroni nelle università bisognava scacciare i vecchi e i borghesi. Il mondo si è diviso in “vecchi e giovani”, tanto da entrare nell’immaginario collettivo. Fateci caso, quando oggi dite che non capite la trap, o che i videogiochi non fanno per voi, dicono “sei vecchio”. Eppure avete solo altri gusti. Se vi piacciono giacche, cravatte pasley e maglioni fairisle, vi diranno che vestite da “vecchio”.
Ma siete solo adulti
Fino al 1950, essere adulti era un’ambizione. Erano i bambini a cercare di emulare gli adulti, e non il contrario. Poi, per gli estremisti sessantottini, essere adulti era un concetto troppo vago e moderato. Così il mondo è stato diviso in giovani (buoni) e vecchi (cattivi), rimuovendo il centro. Quarant’anni dopo abbiamo i vecchi che fanno i giovani, con risultati pietosi tipo Adriano Celentano che fa Adam o la top ten, dove pensionati cercano di parlare ai ragazzini.
Ma tra vecchi e giovani c’è una larga porzione di vita che si chiama età adulta ed è piena di bellezza, soddisfazioni e toni pacati, con più domande che risposte e soprattutto responsabilità. Ho come l’impressione questa fase non la racconti più nessuno, né nella moda, né nella letteratura. Eppure è una figata.