Prezzo oro in aumento a giugno 2019 dopo due mesi. La quotazione
Prezzo oro, dopo mesi di calo o stagnazione l’oro ricomincia a salire e arriva al massimo degli ultimi 3 mesi. I fattori alla base dell’impennata
Avevamo parlato della grande incertezza nel campo del prezzo dell’oro. Diversi elementi spingevano verso una riduzione delle quotazioni del metallo prezioso, altrettanto verso un aumento. Stanno prevalendo questi ultimi a quanto pare, visto che si è arrivati a 1338 dollari l’oncia, con una crescita di più di 50 dollari rispetto a fine maggio.
Si tratta del valore massimo dopo il 21 febbraio. Dopo questa data era cominciato un calo del prezzo dell’oro che a maggio era non sceso sotto i 1300 dollari l’oncia, fermandosi poco sopra i 1270 dollari.
Ma cosa è successo perché in pochi giorni fosse recuperato tutto il decremento che era stato subito in tre mesi? Hanno influito una serie di fattori. Tra questi il cattivo andamento della Borsa a livello internazionale, il calo di molti listini. Come sappiamo l’oro è il bene rifugio per eccellenza, quello vero cui gli investitori si rivolgono quando si allontanano dalla Borsa che attraversa un momento di calo.
E così sta accadendo ora, ma c’è dell’altro.
Prezzo oro, il ruolo del dollaro più debole
Ha la sua importanza anche il fatto che il dollaro dopo una fase di rafforzamento appare più debole verso diverse altre monete, nonché il calo dei rendimenti dei bond americani, ora al 2,1%, il livello minimo da quasi due anni. Altro motivo per allontanare i risparmiatori alla ricerca di rendimenti più elevati.
Non solo, diversi analisti concordano sul fatto che quest’anno la Fed potrebbe tagliare i tassi d’interesse, dopo avere smentito aumenti che tempo fa erano stati pronosticati. E questa diminuzione del costo del denaro classicamente è correlata a un maggior interesse verso l’oro.
Si tratta di tagli che sono più probabili dopo alcune statistiche macroeconomiche americane non proprio positive, come quella riferita all’indice pmi del manifatturiero, che è giunto ai minimi da ottobre 2016. Altro dato che spinge verso i beni rifugio, assieme alle ormai cronache tensioni tra gli USA di Trump e gli altri Paesi, come Cina e Messico, sulle questioni commerciali, con consuete minacce di dazi.