Sei mesi di governo di minoranza: il caso Svezia

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Dalla Svezia una lezione su come far sopravvivere un governo che non ha la maggioranza in Parlamento

19 settembre 2010: gli svedesi vanno al voto. La coalizione di centro-destra guidata dal premier Fredrik Reinfeldt (leader del Partito Moderato) viene riconfermata ma non raggiunge la maggioranza assoluta, fermandosi al 49,1%. L’Alleanza per la Svezia, che comprende il Partito Moderato, il Partito di Centro, il Partito del Popolo e i Cristiano Democratici non riesce quindi a bissare il successo del 2006, quando aveva ottenuto il 51% dei seggi al Riksdag (il parlamento svedese). I partiti rosso-verdi escono sconfitti per la seconda volta consecutiva, fatto già di per sé degno di nota in un paese dalla forte tradizione socialdemocratica. L’elemento di novità che esce dalle urne si chiama Democratici Svedesi, formazione nazionalista e xenofoba fondata nel 1988 e guidata dal 31enne Jimmie Åkesson. Il 5,7% dei voti vale 20 dei 349 seggi parlamentari. Quello di Åkesson e soci è un vero e proprio boom: dopo aver navigato ben al di sotto del punto percentuale per tutti gli anni ’90, i Democratici Svedesi hanno accelerato all’improvviso, passando dal 2,9% delle elezioni del 2006 al 5,7% del settembre scorso, superando per la prima volta la soglia di sbarramento del 4%. 20 seggi conquistati, dunque, e niente maggioranza assoluta per la coalizione di centro-destra. Reinfeldt ha dovuto fare i conti con questa situazione.

[ad]5 ottobre 2010: il primo ministro vara il suo nuovo governo, ed è un governo di minoranza. Nessun accordo con i Democratici Svedesi e nessun accordo con i Verdi è mai stato preso in considerazione. Reinfeldt è alla testa di una coalizione molto unita che ha mantenuto l’impegno fatto in campagna elettorale di non scendere a patti soprattutto con il partito di Åkesson. E così la maggioranza di centro-destra che maggioranza non è ha inaugurato la legislatura.

16 marzo 2011: in una sola giornata il governo va sotto due volte in parlamento. Significativa la seconda, visto che si votava la vendita di quote di alcune delle principali aziende statali. Pur se per motivi diversi, sia i partiti rosso-verdi sia i Democratici Svedesi votano contro, e il governo viene sconfitto. Ma nessun allarme è suonato nelle stanze del potere di Stoccolma. Questo perché il governo di minoranza attualmente guidato da Reinfeldt vive una condizione usuale nella storia della politica svedese.

Nel corso dei decenni, infatti, la Svezia è stata guidata prevalentemente da governi di minoranza. Dopo la riforma del 1971, che ha mutato il sistema parlamentare in monocamerale, i governi di minoranza sono stati la maggior parte. In passato a dominare la scena è stato il Partito Socialdemocratico, che quando necessario ha cercato l’appoggio dei Verdi e del Partito della Sinistra.

L’attuale governo Reinfeldt non è diverso. L’Alleanza per la Svezia non ha la maggioranza assoluta, ma riesce a tenere saldamente il timone della legislatura. In sei mesi le sconfitte sono state poche e di scarsa importanza. Quando è stato necessario l’appoggio esterno per avere i numeri su questioni delicate, Reinfeldt ha giocato di sponda: con i Socialdemocratici per il rifinanziamento della missione in Afghanistan; con i Verdi per la riforma sull’immigrazione. Per il resto, la vita del governo è stata tranquilla: l’esecutivo ha presentato le sue proposte, si è votato e il più delle volte ha avuto la meglio. All’orizzonte non si vedono scogli tali da affondare il governo.

[ad]Il pericolo più grande per Reinfeldt potrebbe essere l’ipotesi che Democratici Svedesi e partiti rosso-verdi decidano di presentare una proposta comune sul bilancio, materia sulla quale si discute ogni anno a ottobre. In quel caso l’esecutivo si vedrebbe costretto a  governare il paese con una finanziaria voluta dall’opposizione. Reinfeldt verosimilmente rassegnerebbe le dimissioni. Ma è uno scenario da fantapolitica: le distanze tra i Democratici Svedesi e i partiti di sinistra sono enormi, e Jimmie Åkesson sa che se vuole far crescere ancora di più i suoi deve dimostrare di meritare la fiducia che tanti elettori gli hanno accordato. E questo contribuisce ad assicurare al governo Reinfeldt una navigazione tutto sommato tranquilla.

Anche perché tra gli schieramenti rosso-verdi la crisi è aperta. Perse le elezioni, Partito Socialdemocratico, Verdi e Partito della Sinistra hanno sciolto l’alleanza elettorale. Ognuno per sé, a leccarsi le ferite. Il Partito della Sinistra, dopo il boom del 12% di fine anni ’90, è scivolato di nuovo giù, confermandosi formazione che oscilla tra il 5 e il 6%. I Verdi se la passano meglio: il 7,3% delle elezioni di settembre li ha fatti diventare il terzo partito del paese. Chi invece sembra precipitato in una spirale negativa sono i socialdemocratici, da anni in costante calo: a settembre scorso il partito si è trovato con quasi 5 punti percentuali in meno rispetto alle elezioni del 2006, fermandosi al 30,6%. La sconfitta elettorale, la seconda consecutiva, è costata la poltrona alla leader Mona Sahlin che si è dimessa. Al suo posto a fine marzo è stato eletto Håkon Juholt: spetterà a lui il difficile compito di risollevare il partito e di tornare a governare un paese, la Svezia, che per decenni ha parlato socialdemocratico.