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In tempi di crisi economica e di oggettiva difficoltà, per tutto il paese, di uscirne in modo pieno e definitivo, il deposito di denaro su conto corrente continua ad essere, per molti cittadini, una sorta di affidabile ancora di salvataggio. Vediamo però, di seguito, come l’inflazione incida su questo conto, come una vera e propria tassa nascosta.
Conto corrente: che cos’è l’inflazione?
Prima di guardare al rapporto tra conto corrente ed inflazione (dal latino inflatio, in italiano “gonfiamento”), non possiamo non dare una definizione, seppur sintetica, di inflazione. Essa può essere definita come l’aumento prolungato, nel corso del tempo, del livello medio generale dei prezzi di beni e servizi. Essa ha il rilevante effetto negativo di comportare una sostanziale diminuzione del potere di acquisto della moneta in circolazione in un dato Stato. In altre parole, laddove c’è inflazione, c’è anche e sempre un’erosione del potere di acquisto dei consumatori che, pur mantenendo gli stessi risparmi, debbono spendere di più per comprare.
L’inflazione colpisce i depositi in banca?
Svolta questa doverosa premessa su un concetto proprio dell’economia, vediamo come l’inflazione possa incidere sui risparmi degli italiani. Vero è che il guadagno da conto corrente, oggettivamente, è assai ridotto: anzi, il costo del conto corrente è, in via generale, superiore al guadagno che esso genera nelle tasche del correntista. Alcune delle ragioni sono sicuramente imputabili all’inflazione, ovvero all’aumento del costo della vita, il quale sottrae, di fatto, moneta ai risparmiatori, che depositano le loro risorse su conto corrente, perché non trovano alternativa migliore. Insomma, l’inflazione opera (anche) come tassa, più o meno nascosta, che tocca i depositi in banca. In base ai dati raccolti dalla Banca d’Italia, il denaro depositato su conto corrente in banca, è pari a circa 1.400 miliardi di euro, e costa ai correntisti, per effetto dell’inflazione, ben 10 miliardi di euro all’anno. C’è anche da dire che particolari colpe, per queste dinamiche, non sono imputabili ai privati cittadini. Semplicemente, lo scenario non prevede particolari alternative redditizie e con rischio nullo o basso. In altre parole, chi si “limita” a conservare i propri soldi nel conto, senza dar luogo a particolari investimenti, non ha trovato migliori opportunità per il suo patrimonio, anche perché magari scarsamente informato sul piano finanziario. In ogni caso, i costi ci sono, e sono legati essenzialmente alle spese di gestione annue, nonché alla menzionata inflazione.
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Come comportarsi in questa situazione?
Insomma, aprire un conto corrente e tenerci i soldi “al sicuro”, non è un’operazione a costo zero. L’inflazione, come tasca nascosta, incide e rosicchia annualmente denaro dal conto, anche 10 miliardi di euro, come accennato sopra. In questo contesto, i risparmiatori, un po’ per la crisi, un po’ per la scarsa informazione finanziaria, un po’ per il timore di fare un salto nel vuoto, tendenzialmente continuano a conservare denaro sul conto. Insomma la situazione è che l’elevata diffusione depositi bancari genera da un lato guadagni irrisori per i correntisti, dall’altro l’inflazione si trova ad incidere con forza su questa massa di denaro depositato.
In conclusione, si può affermare che, considerando l’inflazione, il rendimento di un conto corrente o di un conto deposito è, in sostanza, pari a zero o poco più. Per riuscire a raggranellare qualcosa, occorrerebbe orientarsi ad un un conto deposito online che dia un rendimento lordo di almeno l’1%, in modo tale da superare l’attuale tasso di inflazione, pari allo 0,9%. Oppure sarà opportuno cambiare totalmente forma di investimento. Ancora, il risparmiatore potrebbe anche scegliere una banca territoriale, di piccole dimensioni, la quale di solito, per attrarre nuovi clienti e nuovo denaro, dà di solito tassi di interesse più corposi. Si tratta comunque di valutazioni soggettive e su cui in gioco entrano diverse variabili.
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