Il partito socialdemocratico svedese: storia di un declino
La cronologia di una crisi che in Svezia ha colpito la socialdemocrazia in una delle sue roccaforti storiche
Il 17 settembre del 2006, dopo dodici anni di governo, il Partito Socialdemocratico perde le elezioni. Fredrik Reinfeldt, leader dell’Alleanza per la Svezia (coalizione di centro-destra formata da Partito Moderato, Partito di Centro, Partito del Popolo e Cristiano Democratici) ottiene il 51% dei seggi parlamentari. I Socialdemocratici, guidati dal 57enne Göran Persson, si fermano al 34,9% dei voti: è il risultato peggiore dal 1914. Per aggiornare la statistica è bastato aspettare quattro anni: alle elezioni dello scorso settembre la frana è continuata e il partito si è ritrovato al 30,6%. E la crisi è proseguita, senza che né Göran Persson né Mona Sahlin siano riusciti a invertire la rotta. Ora tocca a Håkan Juholt, l’uomo che da marzo guida un partito in difficoltà come mai nella sua storia.
[ad]Il Partito Socialdemocratico non è un partito qualunque, in Svezia. Si tratta della formazione politica più antica e più importante. Ha costruito il ‘modello svedese’, ha edificato quel welfare che soprattutto negli anni ’70 è stato ammirato e studiato da tutto l’Occidente. È il partito di Tage Erlander e di Olof Palme, i due politici più importanti nella storia del paese. Dagli anni ’30 a inizio anni ‘90 ha sempre ottenuto oltre il 40%. Nel 1940 e nel 1968 ha raggiunto da solo la maggioranza assoluta. Prima della sconfitta del 2006, il partito è stato al governo 65 dei 74 anni precedenti.
Oggi tutto sembra lontanissimo. Gli svedesi hanno confermato la coalizione di centro-destra e il Partito Socialdemocratico fa i conti con una crisi che va avanti da anni. Qualcosa iniziò a rompersi già nel 1998, quando in una sola legislatura il partito scese dal 45,3% al 36,4% comunque sufficiente per vincere. Göran Persson la spuntò anche nel 2002, stavolta con qualche consenso in più (39,9%) ma la sua era una parabola giunta alla fine. L’economia mondiale era in una fase positiva, eppure la disoccupazione in Svezia non scendeva abbastanza in fretta. In questa situazione un volto nuovo fece irruzione sulla scena politica svedese: si chiamava Fredrik Reinfeldt, l’uomo che sconfissee prima Persson e poi Sahlin, sotto la cui gestione esplose infine la crisi del partito socialdemocratico.
La storia di Mona Sahlin ha un qualcosa di emblematico. Quando Ingvar Carlsson (successore di Olof Palme) si dimise nel 1996, la Sahlin era sulla rampa di lancio. Giovane, donna, e in pole position per la leadership del partito. Ma fu stoppata da uno scandalo che passerà alla storia come il ‘Toblerone affair’: in pratica spese personali pagate con una carta di credito statale. Con la Sahlin fuorigioco, e in assenza di altri volti nuovi, il timone finì nelle mani del navigato ministro delle Finanze Göran Persson. Il secondo treno per la leadership passa nel 2007, quando Persson lascia dopo la sconfitta elettorale. Stavolta la Sahlin non è la prima scelta. Il candidato più popolare però è morto quattro anni prima: si tratta di Anna Lindh, ex ministro degli Esteri, assassinata l’11 settembre 2003. Ci sarebbe anche Margot Wallström, che però è impegnata nella commissione europea e vuole rimanerci. Così la guida del partito finalmente va a Mona Sahlin.
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