«Lord Brummel, a Brighton si dice ci sia un uomo più elegante di lei. Tutti si girano a guardarlo, da tanto è elegante.»
«Dunque non è più elegante di me» taglia corto Brummel, rimettendosi a leggere il giornale.
Fino al 1700 gli uomini avevano addosso mille stoffe e colori diversi. Pareva ogni giorno carnevale, finché Dio mandò il secondo messia: lord Brummel. Brummel si guardò attorno, disse “dai raga, non vi si distingue dalla fica, diamoci una rassettata” e decretò che l’uomo doveva essere sobrio, neutro e uguale agli altri. Era un messaggio estetico molto potente: un minimo comune multiplo estetico che concentrava al massimo l’attenzione su educazione e atteggiamento. Permetteva alle donne di emergere (perché diciamocelo, i colori stan meglio a loro) e soprattutto trasmetteva una sensazione molto forte. All’improvviso non contano più età, reddito, colore della pelle, orientamento sessuale, famiglia. C’è chi si abbassa e chi si alza per essere tutti allo stesso livello. È in quegli anni che sono stati coniati proverbi oggi obsoleti tipo “no brown in town”, “no stripes after six”, “chi si veste di verde di sua beltà bla bla”. Grazie a Brummel, gli uomini comuni erano brutti e poveri, ma almeno avevano la possibilità di essere dignitosi.
Torniamo a oggi.
Disclaimer: dovrò semplificare a mostro.
“Ognuno ha i suoi gusti” e “ho il mio stile” sono le frasi (difensive) che si sentono di più, su questo argomento. Eppure prendi la musica classica: è solo un susseguirsi senza capo né coda di plin plim plom plum, alle mie orecchie. Un musicista invece la sa apprezzare e sa dire quale opera è la sua preferita e perché, distingue la qualità dell’esecuzione, giudica i teatri dalla loro acustica, trova geniali passaggi per me banalissimi. A me piace la dubstep, ma non è che la classica non mi piace: è che non ho la cultura per capirla.
Prima di tutto: non sono qui per dirti di metterti la cravatta per uscire con la cumpa degrado. C’è chi si veste casual, chi informale, chi sportivo, chi formale. Dipende dall’occasione, dall’età, dall’umore e dalla voglia. Soprattutto, non sono qui per dirti “vestiti così per soli 500 euro o 90 miliardi di minibot”. Non ci saranno marche né abbinamenti già fatti, né influencer di ‘sta cippa, né sponsor. Quelle robe le fa la moda e a me non interessa. Sono qui per presentarti uno dei grandi piaceri maschili dimenticati: vestirsi da uomo, e fottere chi tenta di venderti spazzatura.
Qual è il metro di giudizio con cui definiamo “bello” qualcosa?
Bè, in base alle sue proporzioni. L’occhio umano misura il mondo che ha attorno usando come unità di misura il proprio corpo e le equazioni che si porta appresso. In architettura si chiama sezione aurea; un casino mostruoso che a noi riguarda solo di striscio, ma ora hai un modo per rompere il ghiaccio alle feste di architettura.
Semplificando al massimo: la proporzione ideale si ottiene dividendo in terzi. Lo vedi dappertutto senza farci caso: i tappeti hanno un lato che è circa 2/3 dell’altro. Le cornici dei quadri, lo schermo del televisore, le misure di lampade, dei tavoli da pranzo, mobili, libri, composizioni fotografiche, nature morte, qualsiasi oggetto che dev’essere bello all’occhio umano ha questo principio. Lo si trova in natura di continuo, e se ci si è predisposti può facilmente condurre alla pazzia.
Tre è il numero perfetto.
Ci sono gif che nemmeno Termometro politico mi lascia usare, ma hai capito cosa intendo.
Se sembra un discorso delirante, misura il torso umano e la lunghezza delle gambe: due terzi. Ecco perché, per esempio, la lunghezza giusta di una giacca è quando tocca il palmo delle mani: perché è la lunghezza del torso sommata a quella della testa. Ecco perché la lunghezza giusta di un cappotto è al ginocchio: due terzi dell’altezza complessiva. Ecco perché un cappotto Ulster arriva quasi fino ai piedi ed è comunque bello: invece di 2/3, fa 5/6.
Questo metodo lo vedi all’opera ogni giorno nei negozi di arredamento, quando rendono gradevoli oggetti che poi porti a casa e non c’entrano nulla. Nell’estetica ogni cosa ha un valore che s’incrocia a quelli vicini. L’intensità di un colore, la sua superficie complessiva, il materiale di cui è fatto, la forma e la dimensione delle fantasie. Si può scendere nella tana del bianconiglio e ce ne sarà ancora e ancora e ancora, fino a parlare di diversi tipi di filati e di come prendono la luce. Ma quella è roba per appassionati, e sarai tu, se ti garba, a perdertici.
Qui termina la prima lezione, che è la più importante: la bellezza è una formula matematica. Dietro i tuoi gusti c’è un’equazione personale, devi solo trovarla e potenziarla. Non importa cosa ti piace mettere, importa solo il come. Una volta imparate le regole, scoprirai che “alcune possono essere aggirate, altre infrante”. Ma bisogna conoscerle.
La prossima volta passeremo a spiegare cosa significa ogni capo d’abbigliamento a livello psicologico; mai notato che Shrek è vestito come Ian Solo, cattivi fuori, ma buoni dentro? Maglietta bianca sotto gilet scuro. Mai notato il gesto che fanno gli uomini quando vedono una bella donna?