Cerchiamo di capire qual è il ruolo, riconosciuto dal Codice Civile, alle cosiddette clausole vessatorie tra imprese: esse, infatti, non riguardano soltanto – come invece molti potrebbero pensare – i meri contratti tra professionista e consumatore, ma anche i rapporti tra imprese, secondo una logica business to business. Vediamo di seguito di comprendere come orientarsi nelle circostanze in cui le clausole vessatorie entrino in gioco.
Clausole vessatorie: dove sono disciplinate? come funzionano?
Le clausole vessatorie trovano la loro disciplina generale all’interno del Codice Civile, agli articoli 1341 e 1342. Nei rapporti tra privati succede spesso che le condizioni generali di un contratto siano poste a priori, da uno solo dei contraenti, di solito quello economicamente più forte (ad esempio una banca o un’assicurazione). Esse sovente sono incluse in appositi formulari o moduli già precompilati, che l’altra parte del contratto si limita a sottoscrivere.
L’ipotesi classica è quella che riguarda i contratti per adesione e i casi di contrattazione di massa (si pensi al settore dei servizi di telecomunicazione), in cui una parte accetta le condizioni poste dall’altra, per avere – dietro pagamento di un prezzo – un determinato servizio o più servizi. La regola è che queste clausole vessatorie sono efficaci soltanto se, al momento della conclusione del contratto, questi le ha conosciute o avrebbe dovuto conoscerle usando l’ordinaria diligenza (art. 1341 c.c.). In ogni caso, le clausole vessatorie non hanno effetto, se non sono specificamente approvate in forma scritta, in modo che sia garantito che la parte “debole” del contratto le abbia previamente valutate ed accettate.
A questo punto domandiamoci cosa la legge intende, esattamente, per vessatorietà. Le clausole vessatorie non sono altro che condizioni che contengono e stabiliscono, a favore di colui che le ha predisposte, limitazioni di responsabilità, facoltà di recedere dal contratto o di sospenderne l’esecuzione, oppure impongono a nei confronti dell’altra parte, decadenze, limiti al diritto di opporre eccezioni di vario tipo, restrizioni alla libertà contrattuale nei rapporti coi terzi o deroghe alla competenza dell’autorità giudiziaria.
Insomma, quel che emerge, nella generalità dei casi, è uno squilibrio dei diritti e dei doveri che sono originati dal contratto.
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Cosa succede nei rapporti tra imprese?
La regolamentazione delle cosiddette clausole vessatorie tra imprese (dette anche clausole onerose) è un argomento clou delle negoziazioni commerciali, ma di cui però non sempre gli operatori del settore hanno piena consapevolezza.
Come disposto dall’art. 1341 suddetto, anche le clausole vessatorie tra imprese hanno bisogno di approvazione espressa e scritta. La giurisprudenza della Cassazione, sul tema, ha dato un utile chiarimento in una delle sue pronunce. Infatti ha sancito che il cosiddetto richiamo in blocco di tutte le clausole del contratto (vessatorie e non) non è una prassi legittima da un punto di vista di correttezza e rispetto della legge. In altre parole, una clausola che richieda alla parte aderente di approvare tutta una serie di articoli, non sarebbe idonea a richiamare la dovuta attenzione su ognuna delle clausole vessatorie.
Nel 2014, infatti, la Suprema Corte usò le seguenti parole per definire la questione: “Il richiamo in blocco di tutte le condizioni generali di contratto o di gran parte di esse, comprese quelle prive di carattere vessatorio, e la sottoscrizione indiscriminata delle stesse, sia pure apposta sotto la loro elencazione secondo il numero d’ordine, non determina la validità ed efficacia di quelle onerose, non potendosi ritenere che in tal caso sia garantita l’attenzione del contraente debole verso la clausola a lui sfavorevole compresa fra quelle richiamate“.
Per ciò che attiene l’argomento delle clausole vessatorie tra imprese, nell’epoca di internet e delle nuove tecnologie, c’è un un altro punto che merita di essere ricordato. Infatti, potrebbero sorgere criticità e dubbi circa l’applicazione della approvazione scritta nei contratti online.
Sulla questione si è pronunciato, alcuni anni fa, il Tribunale di Catanzaro, ponendo l’attenzione sul fatto che, a garanzia dei diritti delle parti, è necessario non soltanto il point and click (che consiste nell’esprimere la volontà negoziale con la compilazione dei campi elettronici proposti su schermo e cliccando sul pulsante previsto per l’accettazione), ma servirebbe la cosiddetta firma digitale per questo genere di negoziazioni.
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