In questo articolo affrontiamo il tema del phishing collegato alla truffa nel settore home banking. Si tratta di una pratica, purtroppo, assai diffusa ma contro cui la legge consente di tutelarsi, da un punto di vista giudiziario e risarcitorio. Vediamo come.
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Risarcimento phishing: a quale comportamento si fa riferimento?
L’argomento è di stretta attualità: si tratta di tutti quei casi di frode informatica, collegati alle operazioni bancarie fatte da casa con il proprio pc, ormai sempre più diffuse. Essa è capace di produrre prelievi non autorizzati, a danno ovviamente del privato cittadino truffato. Nella prassi, abbiamo infatti tantissimi casi in cui l’ignaro cittadino riceve e-mail nella propria casella di posta elettronica, in cui è presente la richiesta dei codici di accesso all’home banking al fine dell’aggiornamento dei servizi e dei dati. Come alternativa, vi sarebbe la sospensione del servizio, reso dalla banca direttamente sul pc di casa.
La situazione, solitamente, è capace di generare nel correntista la certezza (errata) che sia la proprio la sua banca a richiedere l’accesso. Invece non è così. Nei casi di phishing e di conseguente richiesta di risarcimento phishing, i dati sono ottenuti fraudolentemente da terzi malintenzionati e molto abili con la tecnologia; i quali – così facendo – riescono a compiere operazioni bancarie non autorizzate dal correntista che, pertanto, si ritrova – a sua insaputa – con il conto corrente improvvisamente “alleggerito” da prelievi illeciti.
D’altra parte proprio questo è il phishing: un tipo di truffa effettuata sul web, con la quale un criminale informatico vuole ingannare la vittima convincendola a dare informazioni personali, dati finanziari e bancari o codici di accesso e password, facendo credere di essere un ente affidabile e sicuro in una comunicazione di tipo elettronico.
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Il risarcimento danni: cosa dice la giurisprudenza?
È chiaro che tutti in questi casi abbiamo di fronte la frode informatica mediante l’utilizzo delle nuove tecnologie. Il danneggiato e truffato, quindi, farà bene a fare causa alla propria banca, onde ottenere quanto indebitamente sottratto dal truffatore al proprio conto. D’altra parte, è la giurisprudenza del Tribunale di Napoli ad offrire un utile orientamento in proposito.
È opportuno agire, anche in sede civile, contro l’istituto bancario, al fine di richiedere il risarcimento phishing per le somme sottratte. Ciò citando la banca per l’omessa predisposizione dei sistemi di sicurezza ed attivazione delle cautele necessarie ad impedire accessi impropri al sistema informatico. Come appunto sostenuto dalla giurisprudenza “nel rapporto contrattuale di home-banking, la banca ha la veste di contraente qualificato, che, non ignaro delle modalità di frode mediante phishing, da tempo note nel settore, è tenuto ad adeguarsi all’evoluzione dei nuovi sistemi di sicurezza“.
Ne consegue che, se la banca non si attiva concretamente per sventare il tentativo di frode, sarà ben possibile che sia condannata al risarcimento phishing, che comporterà la restituzione delle somme addebitate, oltre al pagamento delle spese e competenze legali dell’avvocato del correntista truffato.
Meritano di essere citati, ancora, alcuni passi della giurisprudenza sul tema, la quale ha il pregio di aver ritenuto responsabile una banca, per ragioni oggettive: “l’utilizzazione dei servizi telematici da parte dei correntisti rientra nell’area del rischio professionale della banca e richiede una diligenza di natura tecnica specifica“, che comunque deve essere assicurata al cliente. Inoltre “La banca non risponde del danno patito dal cliente solo qualora dimostri che il fatto sia attribuibile al dolo del titolare o a comportamenti talmente incauti da non poter essere fronteggiati in anticipo“: insomma l’onere della prova ricade giustamente sull’istituto di credito.
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