Dalla serie “mi delizia l’immondizia”, nelle redazioni d’Italia stanno piovendo migliaia di mail e commenti di uomini indignati per il risalto che viene dato alla nazionale italiana femminile. Più o meno si somigliano tutte: prima cercano di contenersi parlando di calcio, poi si gettano in ironie da bar sport anni ‘90 e terminano con guizzi complottisti: perché non dite che la maggior parte di loro sono lesbiche? tuonano.
Non sono i soli. Cecchi Paone, a La Zanzara, si è sperticato in enormi lodi delle calciatrici donne, dichiarandosi sicuro che “alla fine del campionato moltissime faranno coming out”, poi ha fatto presente che anche nel calcio maschile ci sono gay, ma meno.
Queste statistiche sono basate sul famoso studio “A me me pare che” condotto dal sociologo Mario Rossi, portinaio di una palazzina di Tor Vergata che mentre andava a fare la spesa ha visto delle donne giocare a calcio; ne ha ottenuto un elaborato algoritmo poi pubblicato nella prestigiosa rivista scientifica “bagno dell’autogrill Roncobilaccio sud”, e da allora è un punto di riferimento per sociologi, psicologi e letterati al terzo spritz tra cui ricordiamo il professor Bellioli, che in materia di calcio femminile dichiarò “e basta dar soldi a ‘ste quattro lesbiche”.
Metto le mani avanti: di calcio non so nulla. Ma nulla, nemmeno le regole più elementari. Tuttavia non capisco come i gusti sessuali di una persona possano influire sulla prestazione sportiva. Non so se le azzurre giocano bene o male – so che han vinto 7-0 contro la Jamaica – ma non mi viene un solo collegamento in cui si possa aggiungere la frase “per forza, è lesbica”. È una cosa tipo che solo i gay possono fare gli stilisti e solo gli eterosessuali possono giocare a calcio? Come si collocano coordinazione, capacità aerobica, resistenza e tattica con il posto dove preferisci strofinare i genitali?
«Entra in area di rigore il centravanti Ftagn, si fa avanti il portiere Burzi, Ftagn tira, GOAL!»
«Azione imprevedibile, Marco, forse dovuta all’omosessualità di Ftagn.»
«È possibile, Andrea, è possibile. Ma Burzi è etero, avrebbe dovuto pararla.»
A questo si aggiunge il concetto del coming out – diverso dall’outing, mi dicono – e di come l’opinione pubblica si schieri da un lato o dall’altro. “Dovrebbero dire di essere gay”, “No, dovrebbero tenerlo per sé”. Un continuo stilare “tutti dovrebbero”. Se a me piace la birra chiara sono obbligato a dirlo? E perché? C’è chi adora scopare in giardino e chi farlo in una darkroom. Chi vuole tenere le proprie abitudini sessuali private, altri sbandierarlo ai quattro venti. In entrambi i casi non capisco come questo possa influire sullo sport.
Tra l’altro io sono etero e non guardo il cal