È ben nota la diffusione sul territorio delle attività commerciali dei cosiddetti “Compro Oro“, negozi in cui è possibile vendere uno o più oggetti preziosi in oro e di nostra proprietà, al fine di ottenerne in cambio del denaro. Vediamo però se legge consente un ripensamento dopo la vendita e se ammette, quindi, la restituzione degli oggetti venduti.
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Compro oro: il divieto di restituzione e il diritto di recesso
In effetti l’eventualità è tutt’altro che rara, e può certamente capitare che un privato si accorga di aver venduto un oggetto in oro ad un prezzo notevolmente più basso di quello effettivo, magari per un banale errore di stima su un anello o bracciale. La regola generale è che, una volta venduto l’oggetto al Compro Oro, non è più possibile la restituzione, in quanto la legge dispone che il trasferimento di proprietà opera in via definitiva.
Però sussiste anche quello che è comunemente definito “diritto di ripensamento” o “diritto di recesso“: esso comporta che l’interessato possa revocare quanto sottoscritto (perché ha rivalutato l’opportunità della vendita), nei casi in cui il contratto sia stato stipulato al di fuori di un locale commerciale o negozio. I casi di questo tipo oggigiorno sono frequenti, potendosi ricomprendere, ad esempio, le vendite via web, porta a porta o per telefono. Nelle ipotesi di recesso, occorre però rispettare un termine entro cui far pervenire il ripensamento alla controparte: debbono cioè passare non più di 14 giorni tra la conclusione del contratto e l’invio della lettera di ripensamento alla controparte (da questa ricevuta).
Ne consegue che, se il privato è andato di persona in un negozio Compro Oro non potrà far valere alcun ripensamento; nel caso, invece abbia venduto l’oggetto prezioso, ad esempio, ad un rappresentante del Compro Oro, che si è recato a casa sua per comprarlo, allora potrà valere l’eccezione suddetta (sempre però nel limite di 14 giorni).
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Le eccezioni dell’errore e del dolo: quando la vendita non vale
Il Codice Civile però ammette alcune speciali deroghe alla regola generale del divieto. Ciò laddove la volontà dell’acquirente sia stata viziata per colpa non imputabile. Si tratta cioè dei casi di annullamento del contratto per per dolo o per errore: esse sono le sole ipotesi entro cui è possibile recuperare i soldi per una valutazione inesatta.
Nei casi di dolo, la compravendita potrà essere annullata, in quanto è di mezzo una truffa da parte del Compro Oro che, con artifici o raggiri, è riuscito a versare un prezzo sproporzionatamente inferiore a quello dovuto. In queste circostanze, ci sono cinque anni di tempo per provvedere e chiedere giudizialmente l’annullamento del contratto e la restituzione dell’oggetto. Laddove l’oggetto in oro fosse stato nel frattempo fuso e non sia quindi più recuperabile, sarà possibile ottenere una somma in denaro proporzionata all’effettivo valore dell’oggetto.
La legge consente l’annullamento del contratto in oggetto, anche nei casi di errore senza colpa, in cui una delle parti del contratto sia incappata. Anche in queste circostanze, le norme consentono l’annullamento entro cinque anni e per due tipologie differenti di errore, quello per vizio e quello ostativo. Per errore vizio intendiamo, in sintesi, una falsa rappresentazione della realtà, una falsa convinzione in merito a fatti concreti e a causa di ciò, l’oro è poi venduto.
Tipico è il caso di chi vende un anello in oro, credendo fosse semplicemente placcato e invece è 18 carati. L’errore ostativo, invece, è dato da una erronea manifestazione della volontà, tanto da configurare una incongruenza tra ciò che in verità si vorrebbe, rispetto a ciò che poi è realizzato. Insomma, si tratta di un equivoco tra venditore e Compro Oro, una imprecisione del linguaggio e di comunicazione.
In conclusione, affinché possa valere l’annullamento del contratto, occorre – per legge – che il detto errore rispetti alcune altre caratteristiche. Deve trattarsi, infatti, di errore essenziale, ovvero capace di portare a stipulare un contratto che altrimenti non sarebbe stato stipulato; e di errore riconoscibile dall’altra parte. Pertanto occorre che una persona di normale diligenza potesse rilevare l’errore dell’altro soggetto e non lo abbia fatto.
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