Busta paga prova le ferie non godute, la sentenza della Cassazione
La Corte di Cassazione si è pronunciata sulle ferie non godute ma maturate in busta paga. Ecco cosa ha stabilito e a che proposito.
Ogni mese, nella busta paga di un lavoratore dipendente, maturano le ferie. Le ferie sono un diritto inalienabile del lavoratore, sancito dalla Costituzione (articolo 36, comma 3) e che il datore di lavoro è obbligato a riconoscere al suo lavoratore. Si tratta del diritto al riposo, che ciascun lavoratore contrattualizzato deve avere. La Corte di Cassazione si è recentemente pronunciata con una sentenza sulle ferie non godute maturate in busta paga. Prima di andare a vedere cosa hanno stabilito gli Ermellini, facciamo un rapido excursus sull’istituto delle ferie.
Ferie: cosa sono e perché sono un diritto irrinunciabile
Le ferie risultano essere un diritto a cui né il lavoratore (chi lo farebbe?) né il datore di lavoro possono rinunciare. Tant’è che esiste un periodo minimo di ferie obbligatoriamente da rispettare, che poi può essere anche modificato (al rialzo) in base al CCNL di riferimento. Le ferie vanno fruite per quel che sono e l’indennità sostitutiva non è concessa, come ha stabilito la Cassazione in due recenti sentenze. In pratica, se il datore di lavoro offre al suo dipendente un’indennità in cambio del godimento delle ferie, il lavoratore non può accettare (e il datore di lavoro non può nemmeno fare questo tipo di offerta).
“Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi”, questo è scritto nella Costituzione italiana (articolo 36, comma 3). L’eventuale sostituzione delle ferie con un’indennità renderebbe di fatto nullo il contratto.
“Ti pago le ferie in busta paga”: quando è possibile
Ci sono solo alcuni casi in cui è possibile monetizzare le ferie. Questi riguardano 3 situazioni, che però sono tutte a favore del lavoratore e non al datore di lavoro, che non può in ciascun modo togliere le ferie al proprio dipendente (commetterebbe un illecito). Se il rapporto di lavoro è a tempo determinato e ha durata transitoria (meno di 1 anno), il dipendente può accettare la monetizzazione delle ferie senza goderne. Importante però il lasso temporale, che deve risultare inferiore a 1 anno. Un altro caso è quando il dipendente è a tempo indeterminato e dopo 18 mesi il contratto viene sciolto: anche in questo caso, il dipendente che non ne ha goduto, ha diritto alla monetizzazione delle ferie.
Ultimo caso in cui è possibile monetizzare le ferie non godute riguarda quei particolari CCNL dove i periodi di ferie sono superiori al minimo stabilito dalla Legge (4 settimane). In questo caso, i giorni eccedenti quelli riconosciuti dalla normativa vigente, possono essere pagati, ma resta il fatto che il periodo previsto deve comunque essere fruito da parte del lavoratore. Insomma, in nessun caso è previsto ricevere dei soldi in cambio del non godimento delle ferie a cui si ha diritto per legge.
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Busta paga e ferie non godute: la recente sentenza della Cassazione
Con una sentenza del 2018 la Cassazione ha decretato che il lavoratore dipendente può chiedere la monetizzazione delle ferie se l’esclusione del periodo di riposo non sia dipeso dalla sua volontà ma sia stato imposto dal datore di lavoro. La sentenza si basa comunque sulla monetizzazione automatica delle ferie, senza la necessità di alcuna richiesta da parte del lavoratore.
Infine, con la sentenza n. 16656/2019, la Corte di Cassazione ha trattato il caso di un dipendente e la corresponsione di un’indennità sostitutiva per i giorni di ferie, permessi e festività non goduti per 13 anni. Come prova il lavoratore ha portato le proprie buste paga. Il datore di lavoro ha fatto ricorso, contestando la documentalità della busta paga e l’assenza di prove che attestino la sua attività lavorativa straordinaria. La Cassazione ha però respinto il ricorso affermando, come spiega Studio Cataldi, che spetta al datore di lavoro dimostrare l’oggettiva insussistenza delle condizioni determinanti l’applicazione delle tutele in materia di lavoro. Il riferimento è all’articolo 2697 del Codice Civile, che recita così: “Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento. Chi eccepisce l’inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l’eccezione si fonda”.
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