In tantissimi avranno sentito parlare almeno una volta, di lavoro a cottimo. Chiediamoci se questa tipologia di lavoro è effettivamente applicabile e valida in Italia, se cioè la legge l’ammette e – se sì – con quali forme.
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Lavoro a cottimo: di che si tratta?
Il diritto del lavoro consente che il lavoratore possa essere pagato secondo varie modalità, quali, ad esempio, la retribuzione a provvigioni o con partecipazione ad utili o prodotti o, ancora, a tempo. Quest’ultima, parametrata sul numero di ore effettivamente lavorate in un arco di tempo, è senza dubbio la più diffusa. Ciò in quanto la busta paga, che riporta la retribuzione mensile di un lavoratore dipendente, fa solitamente riferimento al numero di ore in cui l’operaio o impiegato è stato al lavoro e quindi a disposizione dell’azienda.
La legge ammette, però, anche la modalità di pagamento “a cottimo”, però secondo alcuni limiti. Con retribuzione a cottimo intendiamo una paga versata al lavoratore sulla base di quanto produce in un periodo di tempo determinato. La variabile non è cioè il fattore tempo in sé, bensì, appunto, quanto produce in un certo lasso temporale. Rileva cioè il risultato finale del suo lavoro. La legge, inoltre, sancisce che il lavoro a cottimo non è mai da intendersi come capace di generare una retribuzione base del dipendente, ma sempre aggiuntiva ed integrativa rispetto all’ordinaria retribuzione a tempo. Tipico infatti è il caso degli operai pagati in via generale a tempo e in via integrativa a cottimo.
L’unica eccezione in cui vale il cottimo pieno, una retribuzione cioè esclusivamente legata a quanto si produce, è riconducibile al lavoro a domicilio. Ne consegue che la regola generale è che, in Italia, vale la regola generale del cosiddetto “cottimo misto”: retribuzione fissa mensile, stabilita dal contratto di lavoro e legata all’orario di lavoro più l’eventuale retribuzione a cottimo, legata alla produttività specifica.
Il lavoro a cottimo, inoltre, può essere individuale o collettivo. Quest’ultimo è rappresentato da una forma di lavoro disposta da alcuni contratti collettivi, in cui il tipo di attività, i tempi e la quantità da produrre sono legati ad un gruppo di lavoratori appartenenti ad una squadra, un team di lavoro.
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Quando si deve ricorrere al cottimo?
La retribuzione a cottimo scatta obbligatoriamente, secondo la legge, quando a causa della particolare organizzazione del lavoro, il lavoratore sia obbligato all’osservanza di un determinato ritmo produttivo; oppure laddove la valutazione della prestazione dell’operaio sia data dal risultato delle misurazioni dei tempi di lavorazione. In altre parole, l’obbligatorietà della retribuzione a cottimo vale soltanto quando al dipendente è chiesta un’attività più intensa di quella legata meramente alla retribuzione oraria. Insomma, se all’operaio, nello stesso arco di tempo, è chiesto di lavorare più alacremente e meglio, entrerà in gioco la retribuzione a cottimo.
Qual è l’importo dello stipendio per il cottimo?
Per ciò che attiene il livello di retribuzione a cottimo, sono determinanti le singole disposizioni dei contratti collettivi nazionali di lavoro, i cosiddetti CCNL.
A seconda dello specifico settore di appartenenza del lavoratore, occorrerà quindi, di volta in volta, andare a vedere cosa dice in merito il CCNL di riferimento. In linea generale, i contratti collettivi in oggetto fissano semplicemente il cosiddetto utile o minimo di cottimo, vale a dire una percentuale del minimo di paga base, che il datore deve corrispondere, a titolo appunto di retribuzione a cottimo, a favore del cottimista o del team di cottimisti.
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