Negli anni ’90 la selezione dei giornalisti delle testate italiane consisteva nel prendere persone a caso nei buffet macrobiotici delle eticascine fuori Milano, quelle dove le donne indossano scarpe da trekking e gli uomini stanno in boat shoe e polo XXXXL. Li infilavano dentro un sacco di juta e li gettavano dentro l’impianto fognario di un grosso castello medievale.
Essi emergevano nelle fognature e trovavano sulle pareti una linea fosforescente che indicava la via d’uscita; chi arrivava al portone e lo apriva riceveva il tesserino dell’ODG e un contratto a tempo indeterminato, gli altri perivano di stenti farneticando di neoconformismi, nuovi tabù della borghesia e provincialismo culturale.
Oggi i tempi sono cambiati, ma questi selezionatissimi pensatori esistono ancora e scrivono. A volte inventano interviste, altre plagiano articoli dai giornali esteri, più spesso dettano la linea politica senza che nessuno glielo domandi. Nulla di strano, sia chiaro. Ma alcuni, forse complice l’età e un eccesso di Zibibbo, si armano di una connessione Internet e sventano complotti mondiali. È il caso di un giornalista del Fatto quotidiano, che titola secco: Insomma, sulla luna ci siamo stati o no?
È una domanda scomodissima.
L’ultima volta fu pronunciata ad alta voce nell’aula studio della Normale di Pisa per scherzo; tre morti, sedici feriti di cui tre agenti di polizia, danni per 200,000 euro, tafferugli. Eppure qualcuno deve dirla, la verità, e siccome tutti i fisici, gli ingegneri, gli astronauti americani e russi sono concordi nel dire che sì, l’uomo è andato sulla luna, bisogna aggirare la lobby degli esperti.
Ecco quindi i debunker rivolgersi ai fotografi, celebrissimi esperti d’ingegneria aerospaziale. È grazie a loro che sappiamo: no, “con la tecnologia degli anni ’70 non potevamo andare sulla luna”.
A me affascina questa cosa che siccome non c’erano le lucine azzurre e i monitor trasparenti di Minority report, allora la tecnologia non era capace di fare nulla. Cioè, secondo i negazionisti, prima dell’avvento dell’iPhone alla NASA erano lì a simulare Space invaders coi bastoncini e le pietre. La tecnologia dell’epoca, anche grazie a scienziati ex nazisti, era già in grado di creare e lanciare satelliti, oltre a testate nucleari capaci di colpire dall’altra parte del mondo attraverso la stratosfera.
Era grezza e analogica, ma funzionava eccome.
L’articolo prosegue col fervore e la dialettica dei nuovi paganesimi, in cui il buon giornalista si prodiga nel citare complotti, illazioni, supposizioni o vere e proprie fole tirate giù da qualche documentario prodotto da tizi a cui è schioppata la ciribiricoccola quando hanno visto l’assegno di mantenimento della moglie. Il massimo della prova finale è quando un mitomane americano chiese ad Armstrong, Buzz Aldrin e Collins di giurare sulla Bibbia, e loro si rifiutarono.
Mi permetto di suggerire i prossimi articoli: “Come fanno gli adulti a separarsi l’indice dalla mano?” e “Perché se mi conto due volte le dita ne ho nove?”. Attendo con impazienza.