Ogni volta che faccio la fila al supermercato, quando arrivo alla cassa rimango allibito dal numero di riviste scandalistiche che ci sono. I titoli sono qualcosa che mi affascina oltre ogni dire, perché sembrano provenire da un altro pianeta. Un tizio che non conosco ha lasciato una tizia che non conosco, e lei si è fatta vedere in un bel posto in compagnia di un altro tizio che non conosco.
Mi manda al manicomio sapere che quei giornali macinano milioni di copie, perché mi sfugge il ragionamento che c’è dietro. Stamattina ho googlato chi diavolo fossero queste persone, ed erano uno che aveva partecipato a una trasmissione e una che fa in TV quello che le altre fanno su Instagram.
Ma perché è interessante?
Perché ci sono milioni di persone che seguono queste cose. Li appassiona. Uno del settore mi ha spiegato che essere in televisione significa davvero entrare nelle case degli italiani. E quando psicologicamente sei in casa di qualcuno, per quel qualcuno diventi un conoscente. Ad avvallare quest’ipotesi, va detto che il nonno di Ario parlava ad alta voce con Mara Venier, a volte si arrabbiava perché lei non lo salutava, altre volte era contento perché gli aveva risposto.
Ma aveva 94 anni.
Cosa spinge qualcuno ad appassionarsi tanto da pagare per sapere la vita privata di uno sconosciuto? È ironico che da un lato ci siano inasprimenti di pene per lo stalking mentre sui giornali lo stalk show è normalizzato.
Poi mi è venuta un’idea
La più ovvia, probabilmente: ossia che per le casalinghe, per chi vive solo o isolato, le persone in TV sono la cosa più simile ad amici e parenti che ha. Ma prima di Berlusconi le televisioni erano regionali, e prima della legge di Craxi era proibito, per i privati, avere trasmissioni nazionali. Chi guardava la TV vedeva lì persone che avevano il loro accento, il loro dialetto, le loro abitudini.
La nazionalizzazione ha cambiato le cose, relegando TV e personaggi regionali all’ombra, in funzione degli studi di Roma e Milano. L’Italia è diventata più grande, più interconnessa, con un linguaggio comune. E gli amici dei senza amici sono diventati personaggi distanti, che gli raccontavano il loro accento e le luci delle città metropolitane.
Il gossip, come il calcio, ha unito l’Italia più della politica
Forse il gossip è politica. Per quell’immensa foresta oscura che è chiamato “il paese reale”, quelli col servizio buono, il centrotavola della nonna e le foto in bianco e nero della cresima che vivono lontani da tutto, di internazionale non hanno manco i preservativi e la loro unica finestra sul mondo è la società, la vita delle persone nello schermo è il massimo del cosmopolita. E ne vogliono ancora.
Lo comprano in edicola, ansiosi di sapere cosa fanno. Forse è il loro modo per cercare di elevarsi, usando i mezzi che hanno e i ragionamenti di cui sono capaci. Del resto, se i salotti delle case vengono arredati nel modo più simile a uno studio televisivo – e non il contrario – qualche motivo ci dev’essere.