Valore probatorio email: quando vale per legge e come dev’essere
Valore probatorio email tradizionale: qual è il contesto normativo attuale ed alcune considerazioni sulla giurisprudenza in merito.
Sul valore di prova delle e-mail classiche e quindi sulla loro utilizzabilità in una eventuale causa in tribunale, si è discusso a lungo e, anche a livello giurisprudenziale, non c’è, al momento, univocità di orientamento. Non si tratta infatti qui di PEC, ovvero di posta elettronica certificata, oggetto di regole specifiche e capaci di allontanare dubbi ed equivoci circa la forza probatoria del messaggio di posta. Cerchiamo comunque, di seguito, di fare il punto sul valore probatorio e-mail tradizionale.
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Valore probatorio e-mail: il contesto attuale
Laddove ad una data comunicazione, di qualsiasi tipo, si voglia dare un valore probatorio email (per i casi in cui questo sia utile o preferibile, pensiamo ovviamente alle controversie in tribunale), la scelta più opportuna è quella di servirsi della cosiddetta PEC. Esclusivamente questa infatti garantisce la prova certa dell’identità del mittente, di quella del destinatario, della data di spedizione e della ricezione della stessa. Invece, l’email ordinaria (quella che quasi tutti avremo mandato almeno una volta dal nostro pc di casa) ha lo stesso valore di una fotocopia. Ciò significa che fa prova solo se, in una possibile causa, non viene esplicitamente contestata da colui contro il quale viene esibita. Peraltro la prassi suggerisce che la contestazione non può essere generica ma deve fornire al giudice le ragioni per cui il documento non può considerarsi attendibile e quindi utilizzabile come prova.
La giurisprudenza in effetti, negli ultimi anni, ha talvolta riconosciuto alla email tradizionale il valore di prova. Ciò quando la sua ricezione o il contenuto vengono tacitamente confermati dalla condotta seguente del destinatario. Ad esempio, quest’ultimo potrebbe rispondere al messaggio e intrattenere una corrispondenza col mittente, e per questa via confermando l’esistenza di un rapporto contrattuale e di accordi volti a consegnare una merce o a eseguire una prestazione.
Insomma, in mancanza, al momento, di una legge ad hoc che faccia il punto sul valore di prova di una semplice e-mail, è stata la giurisprudenza – come spesso succede – a fornire indicazioni ed orientamenti per i casi pratici. Pertanto, l’email come prova in tribunale sta diventando una realtà talvolta accettata in tribunale, atteso soprattutto che ormai buona parte dei rapporti commerciali sono caratterizzati non più da fax o raccomandate, ma proprio dalla posta elettronica ordinaria.
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L’art. 2712 del Codice Civile e la mail tradizionale
C’è però un articolo, contenuto nel Codice Civile, che in qualche modo aiuta a ragionare sulla questione. Si tratta dell’art. 2712, relativo alle cosiddette “riproduzioni meccaniche”. Esso afferma che: “Le riproduzioni fotografiche, informatiche o cinematografiche, le registrazioni fonografiche e, in genere, ogni altra rappresentazione meccanica di fatti e di cose formano piena prova dei fatti e delle cose rappresentate, se colui contro il quale sono prodotte non ne disconosce la conformità ai fatti o alle cose medesime“. La Cassazione, in una sua sentenza, ha ricondotto la e-mail tradizionale al genere delle riproduzioni informatiche, considerando così l’e-mail classica, come munita di efficacia di prova legale (ma solo in assenza di disconoscimento da parte dell’interessato). Altrimenti, alla mail non sarà possibile dare valore di prova, ma al massimo di mero elemento di prova o indizio.
In conclusione, onde evitare comunque il rischio che un documento o una dichiarazione, magari determinanti in corso di causa, siano considerati privi di valore legale dal giudice, è consigliabile avvalersi di più moderni strumenti quali PEC o firma digitale (peraltro oggetto di apposite normative, come il Codice dell’Amministrazione Digitale).
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