Boris Johnson è vicinissimo ad essere eletto nuovo premier di Gran Bretagna. Domani si esprimeranno tramite voto postale i circa 160.000 iscritti al Partito Conservatore, ma la strada sembra segnata. A meno di clamorosi ribaltoni, sarà l’ex sindaco di Londra a prendere dimora al numero 10 di Downing Street, succedendo a Theresa May. Pochissime chances per lo sfidante Jeremy Hunt, successore di Johnson al Ministero degli Esteri britannico. Il nuovo premier e guida dei Tories sarà annunciato mercoledì 24 luglio.
Tema decisivo sul quale si giocherà la futura presidenza Johnson sarà ovviamente la Brexit. Su cui il candidato premier è intenzionato a tirare dritto nel segno del no deal il prossimo 31 ottobre. Ovviamente, in caso non venga ottenuto un accordo migliore di quello negoziato da May. Ad appoggiare l’intransigenza di Johnson sono i falchi interni ai Tories, come ad esempio Jacob Rees-Moog, e gli esponenti del Brexit Party di Nigel Farage. Non mancano però gli oppositori alla sua linea, sia interni che esterni alla Gran Bretagna.
Johnson premier, gli avversari interni
Il Parlamento britannico ha infatti appena approvato una serie di provvedimenti specifici sui rapporti istituzionali. Tra questi, diversi articoli in grado di frenare la possibilità per Johnson di forzare nel senso di una uscita senza accordo. Alle attuali regole, ogni nuovo accordo sulla Brexit deve infatti passare al vaglio della Camera dei Comuni. Inoltre, un profilo di spicco del Partito Conservatore come Philip Hammond, cancelliere dello Scacchiere uscente, ha già annunciato che si dimetterà in segno di dissenso verso la nuova guida Tory.
Hammond giudica una possibile uscita senza accordo alla stregua di una catastrofe per l’economia britannica. Facendosi così portavoce degli interessi della comunità finanziaria, non certo entusiasta per la prospettiva di una uscita caotica dall’Unione. La stessa strategia di negoziazione di Johnson, basata sul farsi vedere inflessibile di fronte a Bruxelles sperando che quest’ultima conceda condizioni migliori di divorzio a Londra, è per Hammond avventurista e pericolosa per l’economia. Per Johnson sarà decisivo nominare un cancelliere dello Scacchiere, titolare del Tesoro del paese, vicino alle sue posizioni.
Su questo tema Johnson ha risposto sulle colonne del Telegraph domenica, affermando che un accordo di libero commercio con la UE post-Brexit potrebbe risolvere la problematica delle conseguenze economiche di un no deal. Il premier in pectore si è poi detto convinto che attraverso la tecnologia si possano superare le controversie in merito al backstop. Ovvero, al ritorno ad una frontiera “dura” tra Irlanda e Irlanda del Nord, uno tra i temi più dibattuti intorno alle modalità pratiche del Leave.
Immediata la risposta del premier irlandese Coveney, che ha definito impossibile la revisione dell’accordo sul backstop anche di fronte ad un nuovo esecutivo britannico. Coveney ha poi però aggiunto che a subire modifiche potrebbe essere la Dichiarazione Politica allegata all’accordo sulla Brexit che definirà i rapporti futuri tra UE e Regno Unito. Una apertura che sembra però di carattere più retorico che pratico.
Gran Bretagna, le difficoltà con l’Unione Europea
Intanto, la neopresidentessa della Commissione Europea Von der Leyen si è detta disposta a concedere nuovo tempo alla Gran Bretagna rispetto all’attuale deadline. Ciò però solo in caso di colloqui positivi con il futuri rappresentanti di Londra e in ogni caso senza rivedere i tratti fondamentali dell’accordo raggiunto tra May e Barnier lo scorso novembre.
Proprio sulla rigidità europea si andò a schiantare May, incapace ad ottenere l’approvazione della Camera dei Comuni nelle diverse occasioni in cui questa fu interpellata. È inoltre da vedere se Johnson riuscirà a fare il contrario, dato che c’è la possibilità che il Parlamento possa – in caso di linea dura del nuovo premier – votare una mozione di sfiducia. Questa, se approvata, condurrebbe in automatico a nuove elezioni. O in alternativa ad un nuovo referendum sulla Brexit, ipotesi caldeggiata anche dai Laburisti negli scorsi giorni.
Johnson stesso ha già dichiarato che potrebbe temporaneamente chiudere le Camere al fine di far passare la sua linea. Lo scontro istituzionale che ne deriverebbe avrebbe però portata rilevante. Non è detto che al termine della campagna elettorale la realtà della politica non riporti Johnson a più miti consigli. Nel frattempo si è mossa anche la piazza. Migliaia di persone hanno sfilato sabato scorso a Londra in favore di un nuovo referendum e per la permanenza di Londra nell’Ue.
Segui Termometro Politico su Google News
Scrivici a redazione@termometropolitico.it