Quando avevo vent’anni bevevo come un veneto, ovvero a livelli vergognosi. Qualsiasi cosa andava bene, dalla birra al sempiterno Long Island. Lo scoprii per caso mentre andavo a suonare e mi sembrò una cosa estremamente stilosa, ma del resto ero un rapper, figuratevi il livello. Le peggio sbronze della mia vita le ho prese così, bevendo roba a caso; ma erano anche anni in cui la mattina dopo ti svegliavi fresco come una rosa.
Poi sono arrivati i trent’anni
Non so quando è cominciato il degrado. So che svegliarmi il giorno dopo era sempre peggio, i costi erano proibitivi per le mie finanze dell’epoca ed ero arrivato a stare uno straccio per un’intera giornata. Domeniche della mia vita buttate via tra la vita e la morte, in cui l’unica cosa che desideri è non esistere. Eppure l’uomo beve. Un mio amico mi disse che c’è una teoria secondo cui l’essere umano ha smesso di essere nomade – o nomadare, come dice quella – proprio per coltivare le vigne. Bere mi è sempre piaciuto, le conseguenze molto meno. Così sono andato avanti.
Poi è arrivata l’insonnia
Anche non bevendo fino a rimettere, a trentaqualcosa mi capitava di andare a letto ciucco, usare il trucchetto anni ’30 per tenere ferma la stanza – tenere un piede sul pavimento – e addormentarmi, ma svegliarmi nel cuore della notte e star lì a fissare il soffitto per due ore. Il che, calcolando che poi la mattina avevo allenamento o il lavoro, era un disastro. È stato il bisogno di dormire, oltre che il desiderio di adultizzarmi, che mi ha spinto a documentarmi sull’argomento.
Mio padre diceva che un ragazzo beve tanto, un uomo beve bene.
“E non sono due cose che possono convivere”, aggiungeva.
Quindi ho scoperto i classici
Se l’uomo beve da migliaia di anni, significa che la mia specie ha avuto altrettanto tempo per migliorare sia le materie prime che i suoi mix. Così una volta sono andato in un american bar e ho chiesto un old fashion – prima che arrivasse Mad men, giuro. Il barman mi ha guardato come se fossi un alieno e mi ha detto “lo sa, saranno vent’anni che qualcuno non me ne chiede uno”. Forse la terza persona, forse il posto, ma fu amore a prima vista. Il ragionamento era semplice: esistono cocktail che bevono e conoscono ovunque nel mondo? Ho scoperto l’IBA (International Bartender Association) e ho scrutato i precetti.
Gli indimenticabili
La lista mi sembrava breve, e con un nome eccezionale. Sono partito da lì e dopo averli bevuti, imparati e capiti, sono passato alla lista più vasta, dei cocktail internazionali. Nel farlo ho trovato un bar di cui mi fidavo che quando arrivava l’ordinazione diceva sempre “questo è per Zuliani, scommetto”. Del resto son pochi oggi quelli che bevono un Bronx o un Vieux Carré. È stata una delle scelte più felici della mia vita, da cui non mi sono mai staccato. Ho cominciato a trattare gli alcolici storici con più rispetto, a berli molto meno e studiandoli di più.
Il risultato è stato crescere
Non che abbia smesso di inciuccarmi, chiariamo: però ho smesso di rivedere quel che metto dentro. Soprattutto, in tutti i posti d’Italia in cui metto piede, quando chiedo un White lady nessuno batte ciglio. E se lo fa, come in qualche albergo con barman inesperti, sono tutti contenti di farsi dire come farlo. Perché il bello dei classici, in qualsiasi ambito sia, è che uniscono le persone che li conoscono e attraggono quelli nuovi. Si crea un bel clima, anche solo per un istante.
Quindi, preparatevi: parleremo anche di cocktail.