Sono sicuro che avrete notato il proliferare di spot che millantano di poter ricostruire alberi genealogici, o dimostrare discendenze impensabili, grazie a un test del DNA. Per una somma modesta ti mandano un kit a casa su cui devi sputare, lo rimandi al mittente e loro in due settimane ti fanno sapere se tra i tuoi antenati c’erano i normanni o gli africani.
Quello che oggi è il business dello sputo ha storia antica; tra un meme e una litigata su Facebook, prima o poi le persone capiscono quali sono le cose importanti nella vita e cercano di scoprire chi sono, da dove vengono e tutte quelle domande lì. È grazie a questo che in passato – ma anche oggi – sedicenti istituti araldici fatturavano milioni. Dopo il versamento, senza fornire alcuna prova o fonte, ti raccontavano di essere discendente di nobili e ti fornivano uno stemma araldico.
Oggi invece c’è il DNA
Questi test che spuntano come funghi oltre a dare tutti risultati diversi non spiegano quali mezzi, competenze o macchinari usano; e nemmeno i punti di riferimento. Contando l’eredità genetica presente in Italia, sarei interessato a capire chi, secondo loro, risulta italiano al 100%. Hanno raschiato le ossa di Garibaldi? Di Dante? Di Camillo Benso? Hanno trafugato lo sperma di D’Annunzio? Come fanno a sapere che eravamo italiani invece di borbonici, o fenici? Quando il Re ha proclamato il regno d’Italia c’è stato un reset del DNA?
E viceversa, mettiamo io abbia un corredo genetico fenicio o etrusco; da dove l’hanno pescato? È una figura professionale, il cacciatore di DNA? Perché potrei scriverci un romanzo d’avventura adesso; trentenne biologo di provincia viene assunto da una multinazionale per collezionare DNA di civiltà estinte in giro per il mondo, con il segreto scopo di creare la nuova razza ariana, l’homo politicorrectus. Si scrive da solo, anche se non credo la Murgia scriverebbe la prefazione.
“Tanto non ho niente da nascondere”
Nessuna di queste aziende spiega bene cosa fa con il nostro DNA, o dove lo tiene, o a chi lo rivende. E quelle che dicono di non rivenderlo, come Cambridge Analytica insegna, mentono. Eppure il tema dei big data e della privacy non desta grande preoccupazione sull’opinione pubblica (John Oliver ci ha fatto un episodio tragico) perché le persone rispondono “tanto non hanno niente da nascondere”. Vengono schedati e catalogati per fede, credo politico, orientamento e preferenze sessuali, indirizzo di casa e di lavoro, nomi e volti di figli, parenti, amanti, amici? “Tanto non ho niente da nascondere”.
Invece sì che ce l’hai
Tutti noi, uomini e donne, abbiamo uno o più segreti. Una fede politica, un’amante, un figlio illegittimo, un panetto di coca in bagagliaio, vecchie armi del nonno, soldi in nero del padre, piante illegali in terrazza, reati scampati, quel che è. E a volte le persone di cui ti fidi o a cui vuoi bene, per motivi imperscrutabili, ti si rivoltano contro.
A volte un collega deve salvarsi il posto di lavoro, una moglie s’innamora di un altro e divorzia, un figlio impazzisce, un fratello viene plagiato, una donna di servizio diventa avida… le questure sono piene di gente che non aveva niente da nascondere. Chi crede l’irrilevanza sia uno scudo, non passa davanti alla porta del vicino di casa prima di uscire.
A cosa può portare?
C’è un motivo se nemmeno lo Stato ha il diritto di schedare il DNA delle persone. Vendere il nostro DNA a sconosciuti che poi lo rivendono a sconosciuti può avere conseguenze inimmaginabili, e soprattutto ambiti criminali sconfinati. Perché possono dire che hai una malattia ereditaria e tentare di venderti la cura, motivo per il quale questi spot targhettizzano anziani o ignoranti. Ma c’è di più, a voler spaziare con la fantasia.
il DNA è prova regina; oggi se il tuo DNA appare in un posto, significa che sei stato lì. I ricatti online per estorcere denaro via Internet con il metodo che ormai conosciamo tutti oggi funziona su anziani e ignoranti, ma è destinato a evolvere. Si possono inquinare un sacco di cose, con il DNA, e non serve essere per forza un politico, un giornalista o un personaggio scomodo.
Fantascienza? Forse
Magari sono fantasie da scrittore, non dico di no. Ma ragionando come la mia compagnia assicurativa, mi domando quanto mi costa proteggermi e quanto costerebbe non averlo fatto. Dubito il core business di un’azienda che possiede il DNA e il nome e cognome del suo proprietario lo usi per fare percentuali a casaccio; è come avere lingotti d’oro e usarli per fermare le porte. Una banca dati di DNA è un patrimonio che fa gola a molti, e in futuro varrà ancora di più.