C’è uno studio famoso al riguardo, più che altro perché molto raro. Stila un profilo del complottista medio (puntualmente maschio, bianco, single e povero) e riassumendo dice che siccome si sente solo, escluso e abbandonato, gli piace immaginare un mondo dove tutto è collegato. Sul Foglio si approfondisce e si danno meno giudizi: il complottismo oggi è l’unico modo che hanno le persone semplici per capire un mondo troppo specializzato, complicato e interconnesso. Siamo diventati il grande villaggio globale, insomma, e gli emarginati si sono creati la loro Corte dei miracoli con la loro religione pagana. Focus fa un tentativo di teoria di dialogo con loro – quindi sempre apprezzabile – ma che di rado funziona.
Non tutti i complottisti sono uguali
Esistono i novax, quelli che non credono allo sbarco sulla luna, o che i terremoti sono provocati dalla CIA, o che i casi di cronaca nera siano fasulli. Ma ci sono anche vie di mezzo, tra cui vanno citati i giornalisti che si innamorano della scena “è tutto collegato”, e col metodo induttivo riescono a incolpare Berlusconi dell’11 settembre. Quando gli fai notare che è improbabile, giornalisti e provinciali esibiscono foto: “ah, guarda! Come facevano a conoscersi, questi due?”.
Perché nell’alta borghesia gli affari, le relazioni e le carriere si fanno agli aperitivi nei circoli, nelle feste, nei club e nei locali giusti, più che sul posto di lavoro. La società è fatta a montagna: alla base ci sono miliardi di sassolini piccoli e distanti, tipo il falegname di Gaggio di Marcon o la cassiera dell’Esselunga. Più risali, più i sassi sono meno, più grossi e vicini, finché al vertice ce n’è una decina talmente grossi e attaccati da sembrare uno solo.
Ecco perché si conoscono
Solo le gattare trentaquarantenni in fase di negazione possono pensare di trovare su Tinder fotomodelli miliardari ansiosi di sposarle. Se sei un fotomodello miliardario hai ben altri luoghi di caccia, con prede assai più interessanti, attraenti – e libertine. Direttori, ufficiali, vescovi, imprenditori, politici, intellettuali, finiscono negli stessi posti tra le stesse persone, per forza si conoscono tra loro e scelgono gli amici e le amanti lì.
10, 100, 1000 massonerie
Nell’immaginario collettivo la massoneria è un misto tra la SPECTRE e l’antichiesa. Nella realtà son tizi che pagano una quota associativa per conoscere altra gente del loro livello culturale, economico e sociale. Non c’è gran differenza tra il Meeting dei Bilderberg e il Circolo Canottieri di Roma, e solo un marinaio di Marghera può pensare che gente con RAL da 200k frequenti persone con un RAL di 20k. Il perché lo spiega bene Ettore Scola con “C’eravamo tanto amati”.
“E perché lì c’era il Carabiniere/agente segreto/politico?”
Perché nel 90% dei casi si sta parlando di Roma, dove se lanci un bastone in aria cadrà su una divisa, su un politico o sul tetto di un apparato dello Stato. Una proprietà dei servizi segreti a Roma è “una strana coincidenza” come incappare in una vigneto nelle colline trevisane.
Vediamo ogni giorno coincidenze e le prendiamo come tali, ma appena capitano agli altri c’è sicuramente qualcosa sotto. Eppure siamo in Italia, 70 milioni di anarchici ficcanaso stretti su una minuscola striscia di terra dove tutti si conoscono – o si possono conoscere. La nostra realtà è la storia di Bossetti, o di Avetrana, o del mostro di Firenze; figli illegittimi, famiglie allargate, amanti nascoste, prostituti segreti, perversioni poco cinematografiche, dabbenaggine, egoismo, mitomania, imprevisti e pressapochismo.
Detestiamo l’idea che nessuno abbia il controllo.
Per sentirci i Giamburrasca, i disobbedienti, i contestatori, abbiamo bisogno di credere che qualcuno da qualche parte faccia il genitore e abbia il pieno controllo di tutto. Sappia tutto, preveda tutto, manipoli tutto.
Noi non riusciamo tra sei amici a metterci d’accordo dove mangiare la sera, partiamo e ci perdiamo, alcuni cambiano idea, altri forano una gomma. Eppure crediamo sia verosimile che tremila sconosciuti si muoveranno all’unisono senza errori né imprevisti per anni, macchinando nell’ombra.
Perché è comodo e semplice crederlo.
Essere un buon reporter significa sforzarsi con ogni cellula di attenersi ai fatti, di non credere ai “segni”, di non viaggiare con la fantasia, di partire dal presupposto che nelle rivelazioni sconvolgenti la spiegazione più probabile è:
1) Mitomania
2) Cialtronaggine
3) Casualità
4) Errore / Involontarietà
Poi c’è il quinto, che io chiamo “Giordano Bruno”, ed è frequente quanto incredibile agli occhi del popolo. Ve ne parlo stasera.