Sergio Marchionne è morto un anno fa: qual è la sua eredità a 365 giorni dalla sua scomparsa? E qual è la vera data della sua morte, è davvero il 25 luglio? Nel 2003 Marchionne entra nel CdA della Fiat, senza però che nessuno lo conosca. Amante dei silenzi, vestito elegante con giacca e cravatta, un anno dopo diventa amministratore delegato. Inizia a indossare maglioni, a parlare con gli impiegati, ad analizzare la situazione delle concessionarie, come ricostruisce Paolo Bricco per il Sole 24 Ore.
Il salvataggio della Fiat
“Stavo girando per il mondo, vengo in Italia, negli uffici non c’era nessuno, erano tutti in ferie. Ma in feria da cosa? Perdevo 5 milioni al giorno”, rivelò Marchionne. Che poi provò a rifondare la Fiat, con 2 miliardi di dollari che strappa alla General Motors per non costringerla a comprare l’azienda italiana ormai semi-fallita. Marchionne ha salvato la Fiat in qualità di manager e imprenditore, “perché ha rifondato un’impresa del tutto nuova”, spiega il giornalista Bricco.
“Se dobbiamo morire, almeno moriamo scalciando”, un’altra delle sue frasi passate alla storia. Il suo impegno e la sua passione manageriale consente di evitare il fallimento dell’azienda in 5 anni. Sostanzialmente porta in Italia un metodo imprenditoriale innovativo, senza pensare troppo alle abitudini nazionali. Stanco dell’immutabilità di un Paese, cerca di cambiare le cose, nonostante un forte atteggiamento passivo nei confronti del presente caratteristico degli italiani. “Da dove nasce tutto ciò?” si domandò durante un intervento. Probabilmente dal 1968, quando un movimento importantissimo scoprì l’altro lato della medaglia, ovvero quel “diritto a pretendere” senza però fare alcunché. “I diritti sono sacrosanti, ma se continuiamo a vivere di soli diritti, di diritti moriremo”. Il suo atteggiamento è però amorevole nei confronti delle fabbriche e dei lavoratori. Da figlio del popolo qual è, come lo definisce Bricco, si interfaccia bene sia con i lavoratori sia con i sindacati, fondamentali per ripristinare il corretto funzionamento delle fabbriche.
Sergio Marchionne e la sfida americana
Negli Stati Uniti, intanto, il mercato delle auto è in forte crisi. Marchionne si presenta a Obama a capo di un’azienda che non ha una buona reputazione negli Usa, ricorda il giornalista. A Obama presenterà l’accordo sull’acquisizione della Chrysler, ormai sull’orlo del disastro, da parte della Fiat. Marchionne sarà proprio un uomo chiave per Obama, affascinato da un Paese in cui le fabbriche sono ancora importanti. Con la giusta mentalità, sempre innovativa per il nostro Paese, Marchionne “manda gli ingegneri, i tecnici e gli operai italiani nelle fabbriche del Michigan e dell’Ohio a insegnare agli americani come si fa l’industria e come vive una fabbrica”. Così, dopo la Fiat, anche Detroit rinasce sotto il nome di Marchionne. Quindi nasce FCA, Fiat Chrysler Automobilies, di cui si ripensa la struttura gestionale e finanziaria.
Sergio Marchionne e la mentalità “internazionale”
Ma è l’inizio della rottura dei rapporti con i sindacati italiani, decisamente diversi da quelli americani, che tra l’altro sono anche gli azionari stessi della Chrysler. Fiat non esiste più: esiste FCA, un marchio ormai globale con un contratto unico in tutto il mondo. E su questo scenario l’Italia diventa sempre più marginale. È il momento (2014) di pensare ad Alfa Romeo-Maserati, brand del lusso, perché in Italia il lusso va sempre di moda (se esportato all’estero). L’obiettivo è quello di competere con l’industria dell’auto tedesca, punto di riferimento d’Europa. I tedeschi vogliono acquistare Alfa Romeo, infatti, trattano con Elkann, ma non vogliono parlare con Marchionne, considerato “un dipendente”. Il progetto tramonta, sfociando in soli 2 modelli di auto Alfa Romeo e non in quelli che avrebbe voluto Marchionne. Altro tentativo è quello di puntare su General Motors, ma nessuno vuole. Senza la fusione con GM, Marchionne si trova a fronteggiare “la debolezza finanziaria e il ritardo tecnologico di FCA”, cercando di risolvere le questioni in sospeso prima della sua uscita e della selezione sul successore.
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Il giallo della data
Ma a 1 anno dalla morte di Marchionne, ci sono ancora alcuni misteri e punti interrogativi da risolvere. In un articolo su Dagospia, infatti, si rivela che quando John Elkann stava per annunciare il progetto di fusione 50/50 tra FCA e Renault, “un gruppo di furenti parenti corre dall’avvocato Franzo Grande Stevens a chiedere lumi”. Come può prendere una tale decisione “senza convocare l’Accomandita di famiglia”? In verità, si legge nell’articolo, “Grande Stevens non rivolge più la parola all’erede degli Agnelli da circa un anno, ovvero da quando, il 22 luglio 2018, l’avvocato dell’Avvocato scrisse per il Corriere della Sera un’elegia funebre sull’amico Marchionne”. Era il 22 luglio, per l’appunto, ma Marchionne “sarebbe morto ufficialmente solo tre giorni dopo, il 25 luglio”. Come ricostruisce il sito “pare che in realtà l’ad del gruppo FCA, apparso in pubblico l’ultima volta il 26 giugno e ricoverato due giorni dopo a Zurigo, fosse morto da una settimana quando l’azienda ha dato la notizia, e che il suo corpo fosse stato già cremato”.
Gelo tra Elkann e Grande Stevens?
Le principali cause erano da addursi forse “ai mercati azionari, alla SEC e alla Consob, insomma alle comunicazioni che l’azienda avrebbe dovuto fornire sulle condizioni di salute di un manager che controllava ogni dettaglio di un gruppo multinazionale così importante”. E così, mentre i giornali non erano ancora al corrente dell’avvenuta dipartita, visto che ancora si parlava di coma irreversibile, Grande Stevens aveva di fatto detto addio all’amico Marchionne. E così Elkann aveva deciso di fare chiamare l’avvocato tramite la segretaria. Grande Stevens non la prese bene. Da qui il motivo del gelo. Che sembra durare tuttora, con “Elkann che vuole vendere la Fiat a tutti i costi” e che “nelle ultime settimane ha riallacciato la trattativa per un accordo con Renault”.
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