Lo Stinger è uno dei cocktail più vecchi del mondo, secondo alcuni risale addirittura al 1890. Per chi è appassionato di film dell’era d’oro di Hollywood, è onnipresente. Lo bevono nei bar, se lo fanno a casa. È il drink preferito dei Vanderbilt, lo bevono su The Bishop’s wife (1947), appare nell’immenso capolavoro estetico che è High Society, lo beve Cary Grant su Kiss them for me “and keep them coming”, dice al maggiordomo.
Su L’Appartamento, Jack Lemmon guarda sconsolato l’ennesimo usurpatore uscire dal taxi tenendo in mano sei Stinger – in coppe di cristallo molato, ovviamente – portati a mano dal bar assieme alla donna di turno. Watch out for those Stingers, le dice. E ha ragione, ha in mano un piccolo patrimonio dell’umanità.
È grazie ai vecchi film che ho imparato a bere.
I cocktail rispecchiano bene la società che li beve. Oggi negli american bar i barman si fanno chiamare Mixologist e offrono intrugli pretenziosi quanto banali, omologati, sciapi e soprattutto privi di carattere. Mille ingredienti e sempre lo stesso dolciastro sapore di niente e zenzero, mentre il principio dei grandi cocktail è lo stesso del vestire, o dell’arredare, o del cucinare, o del vivere: qualità, semplicità e Storia.
Un vero barman è un incrocio tra un farmacista e uno psichiatra. Sa conoscere i clienti, li sa mettere a loro agio, conosce le ricette dei medicinali, ricorda i loro gusti e ci intraprende un percorso che inizia – non termina – quando lui o il cliente dicono “il solito”.
Perché “il solito” significa che il cliente ha trovato un’identità, ha scoperto qualcosa di più di se stesso, ovvero la cosa più importante nella vita. La assaporerà, ci si sentirà a suo agio finché diventerà la sua comfort zone, e a quel punto una sera dirà “sai cosa, vorrei provare qualcosa di nuovo”. Un buon barman a quel punto prenderà il dossier del proprio paziente e non sgarrerà troppo dalla di lui identità: proverà a farla evolvere. Ad arricchirla.
È una strada che si misura in anni, quella del bere. Lo Stinger è stato il mio primo metro. Ero nella hall di un albergo bello, a disagio nei baggy jeans, lei era una donna un po’ oltre le mie possibilità dell’epoca, io non sapevo cosa ordinare ma volevo fare l’uomo. Il bartender ebbe pietà di me e mi domandò se poteva fare lui.
Lo Stinger ha solo due ingredienti: due parti di cognac e una di crema di menta bianca. Una foglia di menta per guarnire, fine. Eppure tira fuori tutto il carattere, la semplicità, la dignità e la potenza di una villa palladiana del 1800. Non puoi confonderlo con altri cocktail, è lui e basta. Ma dopo di lui, tutti gli altri drink mi sono immediatamente sembrati sciapi, come passare da un Caol Ila alla Coca cola della Lidl.
Dopo cena, in un buon bar, penso sia un buon primo passo per imparare a bere bene.