Predappio fashi-on week: le ultime tendenze della moda neofascista
È il compleanno di Mussolini.
A Predappio, è celebre la scritta “Se non siete decentemente vestiti rinunciate ad entrare”. Grazie alle numerose documentazioni video, ho analizzato le ultime tendenze della moda neofascista che sta a Predappio come i criptogay stanno al Pitti. Cos’è che i neofascisti intendono per “vestiti decentemente”? Esistono dei/delle top model? Degli stilisti? La catwalk a Predappio è sicuramente l’evento più glam dell’anno, per un nostalgico del regime: come scelgono di apparire per omaggiare il loro Duce? Vediamoli.
Black is the new black, a quanto pare. Anche se vediamo un ritorno della camicia a maniche corte abbinata a un camouflage da deserto. Brillante la scelta della modella di tenere lo sfondo nero per far risaltare il logo della X MAS – gli eredi del GOI, tra i più grandi eroi la nostra patria abbia partorito – ridotti a immagine catchy alla stregua di Che Guevara. Ah, il capitalismo! Ecco un guizzo di colore fuxia ai piedi della modella che calza agilmente dei fuseaux da jogging a tre quarti.
Decenza, è la parola d’ordine d’una suprema volontà.
Ecco riapparire il camouflage, un classico intramontabile che fa impazzire neofascisti ed obiettori di coscienza. La si abbina a un denim delavée, ma il nero dev’essere presente; anche con un guizzo, basta ci sia. Ecco spuntare quindi una bella maglietta black con effetto sunny, per trasmettere quel senso d’italianità che solo i panni stesi al sole dal 1980 possono dare. Il bianco fa un timido capolino, ma è un colore troppo light per i neofascisti che subito viene stemperato da un camouflage.
Ma cosa vedono le mie pupille?
Ecco apparire un abito: ammiriamo le spalle spioventi della giacca, il drop stile completo del nonno, la giusta proporzione di revere e colletto rovinata dal nodo della cravatta “a la grezzo”. L’uomo nazifascista ci tiene a far sapere che nella sua vita ha messo una cravatta due volte, e che nessuna donna in casa è in grado di correggerlo – o aiutarlo. È un uomo indipendente, severo, rigido. Scelta di colori, tuttavia, corretta e rispettosa per il luogo.
Per qualche istante, appare un uomo vestito da persona normale: potrebbe essere un infiltrato, o un passante, o un giornalista provocatore. Invece è il pronipote di Mussolini, che decide di presentarsi alla celebrazione senza cravatta per un look più tradizionale e casual.
1.Ecco l’interpretazione più casual della decenza neofascista; una maglietta nera sformata portata fuori da un black denim, outfit a prova d’errore per qualsiasi occasione, dal concerto dei 99 posse nel centro sociale all’apertura di un nuovo porno anime da parte di un Hikikimori, al funerale della nonna o il matrimonio del cuggino, che sua moglie ci tiene tanto.
2. La divisa è sacra e se il signore l’ha guadagnata, è un capo di un’eleganza assoluta e merita rispetto. I gradi non si vedono, sfortunatamente. È però interessante sapere se il bersagliere è in servizio, e in quel caso chi gli ha detto di essere lì e per fare cosa. Se non fosse in servizio, allora indossare la divisa sarebbe un reato. Ma essendo neofascisti, quindi cultori della legalità, questo caso è impossibile.
3.Per i modelli più agée ecco apparire un simbolo-feticcio dei cantieri watcher; il gilet da pescatore. Qui presentato blu stinto abbinato a una maglietta con logo fascista bianco – per fare il verso alle magliette per analfabeti tipo Omo de panza omo de sostanza – e pantaloni cargo verde salvia. Completano la mise degli accessori di un certo livello quali braccialettone di finto oro e baffo.
4.Il modello trasgressive che provocatoriamente fa il saluto delle Pantere nere è un’anomalia: neutro, semplice, rischierebbe di sembrare una persona qualunque, ma ecco apparire le scarpe nere e il borsello di marca, che ricorda i bar sport di Mestre, i birrini sui tavolini di plastica e i fischi aspirati quando passano le minorenni in minishorts, o li sguardi in cagnesco verso qualsiasi maschio in età sessualmente attiva.
5.La moda neofascista non si esime dal citazionismo, e qui lo stilista tira fuori una grande icona della working class italica: Vasco Rossi. Il cappellino corto, la camicia nera all’ombelico, il camouflage stemperato da sneakers da quindicenne. È glam, è chic, e basta uno sguardo alla visiera corta del berretto per sentire le urla nelle cucine che profumano di Tavernello e ricette della Parodi, vacanze a Sharm El Sheik e qualche puttan tour.
6.Ancora citazionismo, qui emerge il reduce dal Vietnam anni ’80 ma con mimetica tedesca anni ’90. Il capello lungo, l’anfibio da CAR a La Spezia, la basetta. È il neofascista del nuovo millennio proiettato verso il passato più o meno remoto, basta che non sia il presente o – drammatico faux pas – il futuro.
Qui siamo alla haute couture, la linea più esclusiva per il vero fashista. Il fez riappare in tutta la sua eterna bellezza, e viene quindi reinventato; invece di abbinarlo a un tre pezzi di lino e una cravatta di seta jacquard, così da rischiare di essere storico, viene abbinata a un occhiale a la Gheddafi, a una maglietta nera di pregevole fattura e a una mastoplastica additiva che dona al modello un tocco un po’ trans, un po’ Fight club.
Ecco un altro statement: l’Italia non si merita, si riceve in regalo assieme al reddito di cittadinanza. È un messaggio potente, italianissimo, che però guadagna fashino grazie al pizzetto a filo e il capello polveroso e trasandato, un fashismo 2.0, dove a “ordine e disciplina” si sostituisce “aò ma chemmefrega” e a “libro e moschetto, soldato perfetto” succede “Facebook, magliette e un par de cannette”.
Ma ecco, forse per confondere ancora la platea, apparire un modello di stazza imponente e massiccia, come a dire che anche tra i neofashisti 2.0 esiste ancora lo spirito che portava ai piegamenti e agli esercizi ginnici. Qui il look è più essenziale, i tatuaggi vestono il collo come un moderno dolcevita, il basco risolve la mancanza di camouflage con un guizzo military.
Vedremo come andrà la decenza al prossimo anno.