È il 2 agosto 1980 e tu sei una ragazza, hai compiuto da poco diciotto anni, indossi un vestito a righe blu e zeppe di tela che in quel periodo vanno di moda. Hai passato la maturità, sei andata a Bologna per vedere l’università che frequenterai, hai dormito a casa di un’amica e ora stai tornando a casa. Non esistono le macchinette automatiche e devi fare la fila in biglietteria, così per sicurezza arrivi presto. Appena metti piede in stazione capisci che hai avuto una buona idea.
Nell’ala ovest c’è la sala d’aspetto di seconda classe.
Un uomo arranca con il peso inclinato a sinistra, per compensare il peso della valigia che tiene con la mano destra. La appoggia con cautela su un tavolino, tra le tante. La sua però contiene 23 chili di Compound B, un esplosivo militare composto da 5 chili di tritolo e di T4 (tciclotrimetilentrinitroammina), avvolti da 18 chili di nitroglicerina gelatinata e collegati a una sveglia modificata. Si assicura la valigia sia appoggiata al muro portante, poi esce di fretta senza guardarsi attorno e asciugandosi il sudore. Alla biglietteria è quasi il tuo turno.
L’orologio sul muro segna le 10.18
Davanti a te noti un ragazzo alto con le spalle larghe, ma non riesci a vederlo in faccia. Si chiama Mauro di Vittorio, ha 24 anni e dal taglio dell’abito deduci sia un venditore. Provi a sfruttare il riflesso sul vetro della biglietteria, ma ci si mette davanti una coppietta. Hanno circa la tua età, ridacchiano in inglese e i loro zaini blu e arancio ti coprono la visuale per colpa del sacco a pelo arrotolato. Te li immagini in tenda, al buio, da soli, e ti viene in mente il mostro di Firenze. Però tua madre dice che è solo in Toscana. Mauro fa il biglietto, passa, e non era questo granché.
Nella valigia, il timer segna le 10.19
Speri incroci il tuo sguardo, ma lui nemmeno ti vede e tira dritto. Gli dedichi un’ultima occhiata, poi incroci Iwao, 20 anni, seduto su una panca nell’angolo. Mangia e scrive su un quadernino, ha sandali da monaco e capelli nerissimi. Senza accorgertene, lo stai fissando. Lui ti fa un sorriso e un cenno con la testa, dietro di te qualcuno ti chiede di muoverti. Ti volti per scusarti e ti trovi davanti un vecchietto sulla sessantina, Pietro Galassi. Ha una vecchia giacca anni ’70 e una cravatta con fantasie larghe e scherzose, probabilmente è un professore. Ti scusi e fai il biglietto.
Il vecchio Tissot del nonno fa le 10.20
Fai due parole con una tua coetanea, Patrizia. Ha l’accento barese marcato, una camicetta di lino ricamata a mano e una minigonna assai più moderna. Anche lei si è appena diplomata in ragioneria, ed è lì con la madre, i nonni, la zia e le cugine per tornare a Bari. Si siedono nella sala d’aspetto alla tua sinistra mentre Sonia, di 7 anni, sta giocando con una bambola rossa. La sua famiglia è sfinita per il caldo e la madre la tiene d’occhio dietro un ventaglio nero con fiori rosa e verdi. S’è messa a giocare con Angela, una bimba di 3 anni che è incuriosita dalla bambola.
L’altoparlante comunica che il treno delle 10.21 è in ritardo di 10 minuti
Quando lo vedi entrare in sala d’aspetto. Ha 21 anni, occhi
azzurri, i capelli corti e due labbra che sembra Marlon Brando. È uno dei tanti
militari di leva, e probabilmente il ragazzo più bello tu abbia mai visto. D’istinto
tiri su la schiena e ti sistemi meglio la gonna. Lui ti vede quasi
contemporaneamente, fa un mezzo sorriso, tu ricambi distogliendo subito lo
sguardo. Vedi una signora di 50 anni, Berta Ebner, che ha capito la situazione
e gongola guardando altrove. Il ragazzo ti si siede vicino e si schiarisce la
voce mentre tu ti auguri non dica una cosa troppo stupida. «Mi scusi, sa che
ore sono?» domanda lui. Ti volti a guardarlo, ed è bello davvero. Noti che ha l’orologio
e le vene sull’avambraccio, lui segue il tuo sguardo: «Oh, questo è… rotto.»
«Davvero?»
«Giuro» dice lui, sbattendolo contro la panchina. Poteva andarti peggio, nell’epoca
dei paninari. Fai una mezza risata:
«Sono le 10.22», rispondi.
a Roberto, 21 anni, artigliere di leva in licenza. Le tue farfalle nello stomaco lasciano spazio a un crampo ben meno nobile, realizzi che giorno del mese è, e ti rendi conto che è il caso di trovare un bagno alla svelta. Lui ti guarda confuso, ha paura di aver detto qualcosa di male. Tu mentre t’incammini sei incerta se dirgli qualcosa, poi decidi che un po’ di suspance gli farà bene. Il bagno è al secondo piano della sala d’attesa, dove c’è il bar. C’è parecchia gente, e Mirella, Euridia, Franca, Katia, lavorano sodo perché Rita e Nilla, 23 e 25 anni, proprio non ci sono con la testa; a entrambe i loro uomini hanno chiesto di sposarli, e stanno progettando come arredare la casa dove andranno a vivere. Vai alla cassa.
«Sono solo le 10.23 e senti che caldo fa» sbuffa la cassiera, Euridia, 42 anni.
Le sorridi comprensiva e domandi dov’è il bagno. Una volta dentro ti accorgi che avevi ragione, infili l’assorbente nelle mutande e ne approfitti per sistemarti i capelli, verificare il trucco e correggere il rossetto. Esci e quasi ti scontri con una vecchietta, Maria Idra, 80 anni. Ha un vestito blu scuro a fiorellini e ti rivolge un sorriso stanco. Le tieni aperta la porta e passi davanti al banco del bar. Hai fatto colazione, ma qualcosa di fresco ti farebbe voglia. Però non ti va di far aspettare troppo l’artigliere, così guardi con invidia la limonata fredda in mano a Viviana Bugamelli, 23 anni, nell’esatto momento in cui confessa a suo marito Paolo di essere incinta. Lui si trasforma in una statua di sale.
L’orologio sopra la macchinetta del caffè segna le 10.24
Dalla radio parte “Our last summer” degli ABBA. Scendi le scale e schivi Irene Breton, un’orologiaia svizzera con un vestito orrendo che la fa sembrare biancaneve, poi un uomo che voltato verso l’esterno grida a qualcuno «Un attimo che prendo le sigarette». La banchina del primo binario s’è riempita e devi fare la gimcana tra Argeo, un ferroviere 42enne che fuma la pipa, Vincenzo, un 34enne che si infila in bocca una gomma da masticare annusando avidamente l’odore della pipa del ferroviere, una coppia di anziani che si tiene per mano, una francesina della tua età con un cappello di paglia e un vestito di seta con cucito “Brigitte” che legge un libro di Prevert, Leoluca che ha la salopette macchiata d’intonaco e vernice, Carlo Mauri che osserva i cavi del treno, poi Francesco, Antonio, Vito, Lina, Romeo, Mario. Arrivi in vista della sala d’attesa e
La sveglia nella valigia segna le 10.25
In un microsecondo le molecole dell’esplosivo si espandono e moltiplicano, spingendo l’aria attorno in un’onda di pressione a sfera che impatta contro corpi, muri, pavimento e soffitto a 9000 metri al secondo con una potenza di 26.9 G, portando la temperatura a 1240°. Le persone più vicine alla valigia vengono vaporizzate dal calore o spappolate, mentre il soffitto e i muri si dilatano fino a spaccarsi, travolgendo le persone all’esterno con pezzi di cemento e marmo che li investono alla velocità di un cannone, smembrandole. Sul primo binario, l’onda d’urto distrugge trenta metri di pensilina e investe l’Adria express 13534 Ancona Basilea sollevandolo, accartocciando l’alluminio delle fiancate mentre detriti di cemento, acciaio e vetro impattano contro i passeggeri, uccidendoli o mutilandoli. Nel parcheggio, l’autobus 37 e i taxi sussultano mentre aria e detriti gli corrono incontro. Poi la stazione collassa. Pezzi di cemento, lastre di granito, tavoli, sedie, scrivanie, brioche, gelati e limonate precipitano tirandosi dietro clienti e camerieri, schiacciandoli dopo un volo di tre metri contro quel che resta della sala d’aspetto e i suoi sopravvissuti, tra cui un bambino di 3 anni.
Sono passati tre secondi.
Non vedi e non senti niente. Il petto ti brucia e non riesci a tirare dentro aria. Emetti un ringhio roco mentre i polmoni e gli addominali cercano di recuperare ossigeno. Cominci a vedere qualcosa, macchie informi, le orecchie fischiano così forte da farti male alla testa. Ti volti di fianco e l’aria rientra all’improvviso con un gorgoglio. Tossisci e rantoli per qualche istante, raggomitolata e sorda. Davanti a te c’è Pier Francesco, 44 anni, ma è sbagliato. Non capisci cos’ha che non va; provi a parlargli ma non senti la tua voce, solo quel fischio assordante. Lui ti fissa immobile e giallastro, senza rispondere.
Ti guardi.
Il vestito è sporco e stracciato. Hai macchioline di sangue su tutto il corpo, ma non senti dolore. Provi a metterti a carponi e ce la fai. Provi a metterti in piedi e ci riesci al secondo tentativo, incespicando. Solo a quel punto riesci a guardarti attorno. Vedi macerie, fumo, un odore acre e ovunque pezzi di persone. Maria Fresu è stata smaterializzata, di lei resta solo un brandello sotto il treno. Dell’artigliere non è rimasto nulla, è stato proiettato a trenta metri fuori e lo riconosceranno solo dalle piastrine. Quando le orecchie riprendono a funzionare, senti le urla. Di paura, di dolore, di aiuto, di disperazione. Provengono dalle macerie, dall’interno della stazione, da quel che resta del treno.
Vedrai arrivare i soccorsi e cercherai di aiutare chi puoi come puoi, assieme agli altri sopravvissuti come te. Vedrai i Carabinieri arrivare e alcuni saranno talmente sconvolti da mettersi a piangere. Le ambulanze non basteranno; le autorità dovranno usare anche i taxi e gli autobus per portare via i 200 feriti e gli 85 morti, oppure i loro brandelli. Alla fine tornerai a casa e continuerai a sentire quelle grida, a vedere quelle persone, per gli anni a venire.
In televisione parleranno di indagini, di sospettati, di depistaggi, di periti ed esperti, personaggi nell’ombra, mandanti occulti, fazioni che si accusano a vicenda. Cinque anni dopo troveranno chi aveva lasciato la valigetta in stazione; si chiamano Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, due neofascisti già condannati per altri attentati. Dopo la strage di Bologna avevano continuato a uccidere e, a differenza di tutti gli altri omicidi, si sono sempre dichiarati estranei. Verranno condannati e faranno 26 anni di carcere.
Buona parte dei politici, dei terroristi, dei faccendieri e degli uomini di Stato che c’erano nel 1980 sono morti o spariti. A distanza di quasi quarant’anni, nessuno sa se la strage di Bologna ha avuto dei mandanti più in alto, o se si sia trattato di follia omicida da parte di un gruppo neofascista. Licio Gelli e uomini di Stato tentarono, secondo il giudice Rosario Priore, di depistare le indagini. Furono condannati, ma non saltò mai fuori chi avrebbero dovuto coprire.