6 maggio, elezioni in Serbia: tanti slogan e poca sostanza
[ad]Il Partito Democratico, nonostante la indiscutibile prevalenza mediatica – innanzitutto televisiva – sugli avversari, dovrà affrontare una durissima prova. Al centro della sua campagna, “Lavoro. Investimenti. Sicurezza.” (Posao. Investicije. Sigurnost.), stanno la democratizzazione delle istituzioni, la volontà di risolvere pacificamente qualsiasi problema (chiaro il riferimento al Kosovo), l’accostamento all’Unione Europea. Purtroppo, Tadić ha già ampiamente dimostrato di aver fallito su tutti questi fronti, e la fiducia degli elettori, già estremamente bassa verso la classe politica nell’insieme, è naturalmente più consumata proprio nei confronti di chi ha detenuto il potere fino a oggi. La tattica del “sia Europa che Kosovo”, sbandierata a ogni passo dai democratici, è venuta a costare alla Serbia entrambe: la candidatura all’UE, agognata, rimandata e a stento ottenuta questa primavera, senza alcuna idea su quando partiranno realmente le negoziazioni per l’ingresso, e i continui, protratti scontri al confine kosovaro hanno fatto perdere ulteriori preziosi anni al paese, mentre la crisi economica dava il colpo di grazia ai progressi già conseguiti.
Più che gli esiti, perciò, ancora vaghi, è difficile prevedere anche solo le strade possibili che potrebbe imboccare la Serbia dopo le urne. Il rischio concreto, in realtà, è che nulla cambi, se non le sigle di governo.
di Filip Stefanović