In quest’estate di afa e nulla, grazie all’arresto dei bastardi che hanno fatto una strage in discoteca con il gas, si riapre l’argomento delle baby gang e del bullismo. Questi adolescenti che delinquono sono “il risultato del berlusconismo”, il sintomo “di un malessere sociale”, la dimostrazione del “degrado della società” e soprattutto – cosa che mi manda ai pazzi – “provengono da buone famiglie”.
Cosa diavolo vuol dire?
Tralasciando che gli adolescenti si drogano, si picchiano, s’ammazzano e infieriscono sui deboli fin da prima dei greci, forse è ora di chiedersi cos’è che rende una famiglia una “buona famiglia”, oggi. Perché se tuo figlio ammazza prostitute, picchia gli anziani o stupra coetanee, non mi sembra la tua sia una buona famiglia. Può essere economicamente benestante, può avere un cognome noto in società, ma questo non la rende una buona famiglia più di quanto una mastoplastica additiva ti rende una buona amante.
Una buona famiglia sono due genitori che nei primi anni hanno dato la giusta forma al bambino, l’hanno nutrito e protetto insegnandogli a comportarsi col prossimo, inculcandogli valori e principi, per cui quando la tempesta ormonale si abbatterà su di lui i danni saranno limitati. Soprattutto se hai la bella idea di divorziare, nel frattempo.
Dal posto in cui vengo io, le compagnie – che oggi si chiamano baby gang, vai a sapere perché – pericolose o aggressive erano la norma. Picchiatori, rapinatori, spacciatori, vandali; la sola grande fortuna è che non avevamo i social e i giornali confezionavano notizie, non bersagli. Erano composte da figli di operai e di avvocati, ricchi e poveri, del nord e del sud, maschi e femmine. La sola cosa che li accomunava erano la crudeltà e l’assenza di empatia, perché erano stati cresciuti come animali. A 18 anni, invitato a casa di un coetaneo, lui si mise a insultare e pestare i nonni per farsi dare soldi; entrambi i genitori erano liberi professionisti, spesso a cena con la giunta comunale dell’epoca.
Era una buona famiglia?
Perché questa definizione andava bene negli anni ’80 coi figli preppy che tornano dal collegio, la madre dipendente da alcool e psicofarmaci e il padre che s’ingroppa i tirocinanti ma conosce il direttore del giornale locale, o negli anni ’60 con Signore e signori di Germi. Ma oggi che buona parte degli articoli – e dei titoli – sono scritti da hatebaiters, parlare di “buone famiglie” è un modo per sottintendere che le famiglie si differenziano per il reddito e non per l’educazione.
E questo è un concetto obsoleto quanto pericoloso.
Nel 2019 una famiglia si colloca in società non in funzione del RAL, della macchina o della casa che possiede, ma della sua capacità d’interazione con il prossimo – che passa anche per l’educazione che sa impartire alla prole. Non esistono buone famiglie: esistono buoni genitori o cattivi. E i secondi, di solito, sono quelli che sotto gli articoli chiedono per i ragazzini punizioni esemplari, flagellazioni, carcere a vita e lavori forzati.
Sì, come su 12 angry men.
Fatalità.