Ho iniziato a guardare i vecchi film per studiarli, poi ho continuato perché me ne sono innamorato. Se sto a casa la sera, invece delle serie TV mi faccio maratone per regista, per attore, sceneggiatore. Dopo averne visti a centinaia, mi sono accorto di quanto l’intrattenimento dell’uomo sia cambiato.
Se William Powell, Humphrey Bogart, Cary Grant o Frank Sinatra escono, nei film, vanno in un tipo di locale che oggi non esiste più. Sono posti grandi, eleganti senza essere pacchiani, con tavolini e lampada dove puoi cenare o solo bere, ascoltando musica vera suonata dal vivo che ti permette, volendo, di chiacchierare con chi hai di fianco.
Non parlo delle hall di alberghi che fanno varietà tipo Weekend at Waldorf-Astoria o My man Godfrey, ma di semplici locali. Se esistessero ancora penso uscirei tutte le notti, perché sono umani. Capiscono l’essere umano, i suoi tempi, i suoi toni, i suoi desideri. L’ultima volta che sono andato in una discoteca in centro a Milano mi sono trovato in una bolgia dove tra la musica da psicopatici, posti miserabili, cocktail ripugnanti e prezzi imbarazzanti, ho realizzato che l’unico modo per divertirsi, lì dentro, era drogarsi o essere psicopatici di default. Di solito, quando qualcosa non mi piace, mi dico che è perché sono un uomo di 39 anni e non un ragazzo di 20.
Ma forse c’è qualcosa di più
Col tempo mi sono accorto che le persone hanno bisogno di rumore costante, in sottofondo. E dev’essere un suono aggressivo e prevedibile, o saranno a disagio e ne cercheranno uno più aggressivo. Conosco persone che vivono con la radio, la TV, la musica, i podcast costantemente attaccati. Se li togli, vedi la faccia della paura. Non importa la cultura, il reddito o la provenienza: sono dipendenti dal rumore.
Le risse in televisione sono quadruplicate, ormai non c’è talk show che non abbia gente che urla o insulta. A guardare i vecchi episodi di tribuna politica pare vengano da un altro pianeta. Ci sono persone riflessive, che si prendono il tempo per ragionare e poi rispondere.
Oggi la gente direbbe NOIAAAAAAA
Ma come fa a essere noiosa l’umanità? Non siamo alieni o personaggi di un film. Nessuno parla come in televisione. Prendiamo tempo, ci ripetiamo, chiediamo all’interlocutore di precisare, cambiamo idea, abbiamo gli mmmmm e gli eeeee. Prendete la musica; oggi le serate che fanno più successo sono quelle che ripropongono musica anni ’70 e ’80.
Nelle discoteche normali, le canzoni che mettono sono un mix di tutti i pezzi pop rimescolati senza durare più di 10 secondi. È come se una poiana dissenterica che si fa le unghie sulla rotellina della radio fosse diventata il miglior DJ del mondo. E alla gente va bene, purché non rimanga in silenzio. Più un rumore è forte e assordante, meglio è. Perché?
Cos’ha di tanto spaventoso, il silenzio?
Forse ci obbliga a restare da soli con noi stessi. In questi anni, o per come li vedranno le generazioni future, saremo visti come una banda di psicopatici soli, paranoici, sull’orlo di una crisi di nervi, farmacotossici e incapaci di affrontare noi stessi e i pensieri che strisciano sul cuscino prima di andare a dormire. Forse il motivo per cui quei locali non esistono più è che abbiamo perso la capacità di divertirci in pace con noi stessi e con gli altri, com’erano le generazioni precedenti che avevano orrori assai peggiori, e forse proprio per questo sapevano godere dell’attimo e della loro umanità.
Viviamo vite che non ci piacciono, circondati da amici che non ci conoscono, donne che non ci capiscono, amanti che non ci ascoltano e posti che non ci rappresentano. Non importa quanto ci spacchiamo, rimane la voce nella testa a gridarci quanto siamo fuori strada. E per mettere a tacere quella spia dobbiamo alzare l’autoradio sempre di più.