Quattro bombe piazzate dentro cestini dei rifiuti sono esplose oggi a breve distanza una dall’altra a Dnipropetrovsk, città ucraina a 470 chilometri ad est di Kiev, ferendo 27 persone. Secondo Ria Novosti ci sarebbero nove morti, ma il dato non trova conferme in altre agenzie stampa. E’ successo ieri, venerdì 27 aprile. per le autorità si è trattato fin da subito di “un atto di terrorismo“. Il presidente ucraino, Viktor Yanukovich, ha detto che le esplosioni sono “una sfida all’intero Paese”. Una sfida portata da chi? L’attentato non è stato rivendicato. Dato non trascurabile: Dnipropetrovsk è la città di Julia Timoshenko, l’oligarca già primo ministro, tra i leader della Rivoluzione arancione che sembrò portare l’Ucraina lontano dall’orbita di Mosca, prima di risolversi in un’insuccesso politico. La Timoshenko è attualmente detenuta nella colonia penale di Kachanivska, a Kharkiv, dove sta scontando una condanna a sette anni per abuso di potere. Si sarebbe resa colpevole di aver stretto con la Russia di Putin accordi svantaggiosi sul prezzo del gas. Al di là della fondatezza dell’accusa, e del torbido passato della Timoshenko, la sua è ormai con evidenza una detenzione politica.
Ma queste bombe a chi giovano?
[ad]Proprio ieri sono state diffuse fotografie che riprendono la leader dell’opposizione sul letto della sua cella mentre mostra alcuni lividi su braccia e basso ventre che lei afferma esserle stati procurati da un’aggressione delle guardie carcerarie.
Manca poco più di un mese all’inizio dei campionati europei di calcio che si svolgeranno congiuntamente in Ucraina e Polonia. Dnipropetrovsk sarà la sede di diverse partite. L’appuntamento sportivo internazionale tiene quindi accesi, anche contro la volontà di Kiev, i riflettori sul Paese. La diplomazia europea, finora timida (e ipocrita) nei confronti dell’Ucraina, sta facendo pressioni affinché la Timoshenko venga rilasciata. La situazione del Paese, però, resta poco rassicurante.
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[ad]Il direttore dell’Istituto ucraino di strategia globali, Vadim Karassev, ha dichiarato: “È un gioco che i servizi segreti hanno inscenato al fine di seminare panico, paura, confusione a Dnepropetrovsk e in Ucraina” allo scopo “di creare una nuova realtà politica” fittizia e, con la scusa del terrorismo “limitando l’attivismo politico, le proteste, i diritti dell’opposizione” rafforzando così “la componente poliziesco-militare del regime politico”. Parole che fanno pensare a una versione ucraina della strategia della tensione. Occorre però sottolineare come quella in atto in Ucraina non sia una lotta tra il bene e il male, la democrazia e l’autoritarismo, quanto una sfida fra élites di potere dagli interessi divergenti, rappresentanti anche istanze culturali diverse (gli ucraini cattolici e uniati a ovest, la popolazione russofona e ortodossa a est) in un contesto dove corruzione e crimine organizzato sono i veri padroni della scena politica ed economica. Insomma, se Yanukovich è un autocrate, la Timoshenko non è una campionessa di democrazia.
Il Paese, conteso tra Russia ed Europa, oscillante tra la sfera d’influenza del Cremlino e quella atlantica, è oggetto di forti tensioni che provengono dall’esterno tanto quanto dall’interno. Una situazione delicata dagli esiti incerti.
di Matteo Zola