Giuseppe Civati a TP: “Sembra il Basso Impero, Stiamo perdendo tempo, senza rendercene conto”. L’Intervista
Giuseppe Civati a TP: “Sembra il Basso Impero, Stiamo perdendo tempo, senza rendercene conto”. L’Intervista
[ad]”In campagna elettorale si è spesso portati a “forzare la mano”, ma ho generalmente apprezzato la linea tenuta dal segretario.” Siamo orgogliosi di presentarvi l’intervista che Giuseppe Civati ci ha permesso di pubblicare.
Giuseppe Civati, nato a Monza il 1975, filosofo, autore di un blog e di un sito molto frequentati, iscritto al Partito Democratico, è salito alla ribalta grazie ad un articolo de “L’Espresso”, in cui alla domanda “tu chi pensi che sia adatto a diventare il nuovo leader del Partito democratico?” è risultato essere il candidato segretario più votato, subito dopo Romano Prodi.
Termometro Politico ha deciso di contattare Giuseppe Civati e proporgli alcune domande, a cui egli ha gentilmente risposto. Si parla di ambiente, di filosofia, dei recenti argomenti della campagna elettorale.
Un Giuseppe Civati a tutto tondo.
1) Lei è una delle personalità politiche più citate tra le giovani leve del Partito Democratico, insieme ad Ivan Scalfarotto e Debora Serracchiani: ritiene che il suo partito sia conscio delle potenzialità di questi iscritti e militanti? In particolare, ritiene che il Partito Democratico possa puntare sulle giovani forze per ridare slancio alla sua popolarità?
Il Partito Democratico ha bisogno di essere conseguente. Ha parlato spesso di nuovo e quasi sempre riproposto formule vecchie (a volte, perdendo di vista i valori ‘antichi’, tra l’altro). Ha detto di guardare avanti, e spesso si è voltato indietro, rimirandosi in uno specchietto retrovisore, continuando a enfatizzare le provenienze di ciascuno, piuttosto che concentrarsi sugli obiettivi comuni. Credo che un po’ di ‘nuovismo’ tattico e di apertura alle nuove generazioni non possa che fargli bene, non tanto dal punto di vista anagrafico, quanto dal punto di vista politico. Il Pd conferma tutta la sua forza e le sue potenzialità, in ogni caso: ha solo bisogno di energie rinnovabili, chiamiamole così. Da tempo, però, lavoro perché le nuove figure si confrontino con il gruppo dirigente attuale (lo stesso da circa vent’anni, noto en passant), senza scontrarsi a distanza come è accaduto finora. Perché a volte piuttosto che attaccare, ci siamo sentiti noi per primi attaccati. E mi sembra paradossale.
2) La sua attività di filosofo l’avrà certamente portata a porsi domande di natura socio-culturale rispetto all’attuale situazione italiana. Se potesse ricondurre il tutto ad una chiave interpretativa filosofica, ruscirebbe a forinirci un parallelo tra i partiti attualmente in disputa per le Elezioni Europee e le scuole di pensiero filosofiche presenti/passate?
La questione non si pone in termini filosofici. È un problema culturale e fa segno alla scomparsa della politica, alla sua inadeguatezza, all’imbarbarimento di un Paese fermo che però si agita moltissimo. Sembra il Basso Impero, un momento di confusione e di superficialità, un perenne carnevale senza direzione. Stiamo perdendo tempo, senza rendercene conto. Siamo inconcludenti e non ci rendiamo conto che stiamo scivolando. Siamo obnubilati e non puntiamo sulle nostre potenzialità, che pure ci sono e continuano a esserci. Siamo divisi, frammentati, incapaci di un pensiero comune su quasi nulla.
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