Periodicamente ritorna in Italia la polemica sul cosiddetto “Governo non eletto dai cittadini”. L’affermazione, di per sé demagogica, sembra essere facilmente smontabile da chi ha un minimo di conoscenza della Costituzione. Eppure rivela qualcosa di più profondo, che non va trascurato. Spesso si inveisce contro un fantomatico Governo non eletto quando invece il problema andrebbe ricercato nei deputati e nei senatori che, per una serie di motivi, potrebbero essere poco rappresentativi della volontà popolare. Premetto che non entrerò nello specifico di alcun caso italiano, passato o presente che sia, anche perché tra la dottrina astratta e l’applicazione concreta ci sono pure ragioni di opportunità politica.
Parlamento eletto e Governo non eletto, contro l’analfabetismo costituzionale
Lo abbiamo sentito in bocca a svariati politici, ma ancor di più presso molte persone comuni: «Quel Governo non è legittimo perché non è stato eletto dal popolo». Replicano subito gli “studiati”, con un semplice schemino in mano: secondo la Costituzione della Repubblica italiana vigente, i cittadini eleggono il Parlamento, il quale dà la fiducia al Presidente del Consiglio dei Ministri che ha ottenuto l’incarico dal Presidente della Repubblica a formare il nuovo Governo. Quindi nessun Governo è mai eletto direttamente. Chi dice il contrario è un analfabeta costituzionale. Non hanno tutti i torti, da questo punto di vista.
Come evitare un Governo non eletto direttamente dal popolo? Il “premierato forte”
La soluzione? Per qualcuno sarebbe l’elezione diretta del Presidente del Consiglio, con un “premierato forte” anche sulla Carta, per ufficializzare lo snaturamento della “repubblica parlamentare” quale era stata pensata dai Padri Costituenti, che sarebbe divenuta poco funzionale, lenta, incapace di affrontare le sfide del presente. Alcuni ex Presidenti del Consiglio sono giunti a dichiarare – probabilmente per lapsus – che è il Governo a fare le leggi, anziché il Parlamento.
Lo scenario politico bipolare degli anni del berlusconismo – come segnalava anni fa il magistrato Alessio Liberati sul blog del Fatto Quotidiano – aveva fatto sì che il capo della coalizione (Berlusconi o il suo sfidante di turno) ricevesse l’incarico in automatico dopo aver vinto le elezioni; conferirlo ad altri sarebbe stato un tradimento. L’ascesa del Movimento 5 Stelle e i cosiddetti Governi di responsabilità/tecnici hanno scompaginato un po’ le carte, perché hanno portato all’Esecutivo squadre molto diverse rispetto a quelle che pensavano i votanti nei seggi, ma pur sempre legittime.
Tanto più che dal 2006 le leggi elettorali – Rosatellum incluso – prevedono i partiti in corsa debbano depositare contestualmente il simbolo, il programma e «il nome e cognome della persona da loro indicata come capo della forza politica». Di fatto si suggerisce al Presidente della Repubblica chi incaricare come Presidente del Consiglio. Il quale tuttavia necessita pur sempre di un incarico e di un voto di fiducia della maggioranza parlamentare.
Un’elezione diretta – così come accade attualmente per i sindaci e i presidenti delle Regioni – invece prevedrebbe che, caduto il Premier sia necessario sempre andare a elezioni per sceglierne un altro.
Quando è il Parlamento a non essere più rappresentativo…
La decisione di sciogliere il Parlamento per andare a nuove elezioni, in un assetto istituzionale parlamentare, può avere senso però almeno in un caso: il venir meno della corrispondenza tra parlamentari eletti e corpo elettorale. Si può parlare in tal caso di crisi di rappresentatività della Camera e del Senato, ed è il Presidente della Repubblica a farsi interprete diretto dell’elettorato, procedendo così allo scioglimento.
A differenza di altri casi controversi (scioglimento sanzione contro i tentativi di sovvertimento parlamentare della Costituzione, autoscioglimento nel solo interesse della maggioranza), i costituzionalisti ritengono pressoché unanimemente legittima la causa di scioglimento delle Camere se viene meno la loro rappresentatività. Può accadere ad esempio quando cambia la legge elettorale, che incide fortemente sulle regole del rapporto di rappresentanza politica, oppure anche se nel Paese emergono correnti politiche estranee al Parlamento (sostengono così i costituzionalisti Ciaurro, Silvestri e Pinto). Il dibattito è aperto se il Presidente della Repubblica possa sciogliere le Camere qualora acquisissero centralità nel dibattito pubblico nuove questioni fondamentali, sulle quali non si erano espressi i candidati durante la campagna elettorale (Carlassarre e Guarino lo negano, mentre altri come Martines e Mortati lo prevedono).
Tuttavia – con la sola eccezione di Giuseppe Guarino – i costituzionalisti (Balladore Pallieri, Barile, Bozzi, Cuocolo, Cuomo, De Fiores, Galizia, Lavagna, Lucatello, Manzella, Martines) ritengono che un valido motivo di scioglimento anticipato delle Camere sia il mutamento della situazione politica confermato da elezioni di altro tipo, per esempio referendum, elezioni amministrative o europee.
Se è segno di scarsa conoscenza della Costituzione della Repubblica Italiana denunciare un “Governo non eletto” – formalmente legittimo, se sostenuto da un voto di fiducia di ambedue le Camere – è tuttavia sempre possibile domandarsi se la distribuzione dei seggi in Parlamento sia ancora rappresentativa della volontà popolare. Chi se ne deve occupare? Di certo non è un ministro o un leader di un partito politico a stabilirlo, tanto più se mosso da ragioni di interesse personale.
La rappresentatività del Parlamento è accertata dal Presidente della Repubblica
L’autorevole costituzionalista Costantino Mortati spiegava che:
Compito del Presidente della Repubblica è quello di accertare la concordanza tra corpo elettorale e parlamentare. Assolve a tale ruolo attraverso l’impiego dell’istituto dello scioglimento anticipato, quando vi siano elementi tali da renderlo necessario o anche solo opportuno in termini di gravi disarmonie fra attività degli eletti e sentimento del popolo.
C. Mortati, Istituzioni di Diritto Pubblico, Cedam, Padova 1958, pp. 369-370.
Essendo infatti in Italia i Governi di tipo parlamentare, il rapporto di fiducia tra potere legislativo (Parlamento) e potere esecutivo (Governo) si basa sulla presunzione relativa – «subordinata cioè alla possibilità di un accertamento in ogni momento della sua reale fondatezza» – del fatto che Camera e Senato siano rappresentativi dell’elettorato. Poiché per ovvio conflitto di interesse non può stabilirlo direttamente il Parlamento, è precisamente questo il compito del Presidente della Repubblica, che assume un ruolo arbitrale esterno.
Questo non significa che debba fare politica con sondaggi più o meno attendibili o che in continuazione per ogni discrepanza debba ricorrere alle elezioni, ma che – soprattutto in contesti di ampia volatilità elettorale – debba restare vigile affinché il rapporto tra rappresentati e rappresentanti non venga calpestato, snaturato o deteriorato, con conseguente ulteriore disaffezione dei cittadini verso le istituzioni. Se la scarsa rappresentatività fosse dovuta invece a leggi elettorali distorsive – con premi di maggioranza, soglie di sbarramento, collegi maggioritari sbilanciati – sarebbe invece un’altra questione, che spetta principalmente alla Corte Costituzionale valutare. Non a caso i Padri Costituenti, per mantenere la centralità del Parlamento e la sua più ampia rappresentatività, esprimevano la loro preferenza per una legge elettorale di impianto proporzionale. Ma ovviamente non è questione di Governo non eletto.
È mai accaduto? Può accadere?
Va riconosciuto che, nella prassi repubblicana, solo nel 1994 – a seguito di una legge elettorale nuova e del crollo dei vecchi partiti – si è giustificato lo scioglimento delle Camere con la mutata condizione dello scenario politico. Tuttavia il fatto che sia ampiamente accettato dai costituzionalisti non impedisce che, con la debita prudenza, il Presidente della Repubblica non possa farvi ricorso nella sua discrezionalità. Anche qualora ci sia la possibilità di formare una maggioranza parlamentare, se quella maggioranza fosse – con estrema prudenza, ragionevolezza e comprovate motivazioni – non più rappresentativa del corpo elettorale.
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