Legittima difesa o provocazione: differenza e quando non si è condannati
Legittima difesa o provocazione: perchè è necessario tener distinti i due concetti e in quali circostanze la legge ammette la non punibilità
I rapporti intercorrenti tra legittima difesa e provocazione non sono sempre di facile lettura. Infatti, ogni caso portato innanzi al giudice ha le sue circostanze concrete specifiche e spetta appunto all’autorità giudiziaria valutarle, in particolare tenendo conto del grado di colpa – e quindi di responsabilità – che ha la vittima dell’aggressione, del tipo di offesa manifestata e dalla proporzione della reazione stessa. Vediamo allora di seguito in che modo distinguere legittima difesa da provocazione e quando non si è condannati.
Legittima difesa: i tratti caratteristici
Preliminarmente alla questione della differenza tra legittima difesa e provocazione, richiamiamo in sintesi che cosa la legge intende per legittima difesa. Nell’ordinamento giuridico italiano la legittima difesa è una delle cosiddette cause di giustificazione, vale a dire una forma di “autotutela”, che può essere legittimamente attivata, in caso di pericolo imminente ed attuale, per sé o per altri, di un danno ingiusto, ovvero di una lesione di un proprio diritto. La legge insomma consente all’aggredito di potersi difendere con le sue forze, laddove non ci sia possibilità o modo di rivolgersi alla pubblica autorità per ragioni di tempo e di luogo. Tale causa di giustificazione deve essere quindi l’unico rimedio esperibile.
Il testo dell’art. 52 del Codice Penale è piuttosto chiaro a riguardo, sancendo che: “Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di un’offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa”. In particolare, circa il requisito della proporzionalità, occorre rimarcare che la legge non consente comunque di ledere un diritto dell’aggressore più importante di quello da quest’ultimo leso.
Tra legittimità della difesa e provocazione
Come anticipato, distinguere tra questa causa di giustificazione e mera provocazione è operazione spettante al giudice, tenuto a valutare tutte le circostanze concrete onde esprimere un giudizio corretto. Ed è pertanto la giurisprudenza a fornire utili chiarimenti sul come comportarsi in vari casi pratici. Per esempio, laddove due persone ricorrono alle mani e si feriscono a vicenda non si può parlare di tale causa di giustificazione, nel caso in cui ambo le parti abbiano concorso allo stesso tempo alla reciproca aggressione, per esempio incitandosi l’un l’altro ad aggredire. Insomma, laddove si tratti di sfida per risolvere una lite, non scatta la causa di giustificazione e c’è la possibilità di essere condannati con un sanzione penale.
Anche il provocatore, ovvero colui che offende l’aggressore o lo minaccia di aggressione, non può poi chiedere tutela attraverso la legittima difesa. Questi infatti, si pone di sua spontanea volontà, in una situazione di rischio per la propria integrità fisica. Sempre la giurisprudenza ha fatto notare che “anticipare” l’aggressore e aggredirlo prima che quest’ultimo aggredisca, non è legittima difesa. Occorre infatti un pericolo attuale. In conclusione, la provocazione in sé non evita la possibile condanna e la sanzione penale, occorre piuttosto che ricorrano – nel caso concreto – tutti gli elementi caratterizzanti la legittima difesa secondo la legge, e questa valutazione, come detto, spetta esclusivamente al giudice.
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